Filippo Dal Fiore

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Quello che la storia di Amazon insegna al mondo

September 10, 2019 No Comments»
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Ragionando di economia globale, non ci si può non imbattere nel fenomeno Amazon.
Un caso, da molti punti di vista, senza precedenti: un’azienda privata, infatti, riesce in pochi anni ad erogare i propri servizi nella maggior parte dei paesi del mondo, in alcuni casi mettendo in grande difficoltà gli operatori locali. Basti pensare al settore della vendita libri, in cui Amazon, che opera puramente online e non possiede alcuna libreria, sottrae progressivamente attività economica alle librerie tradizionali.

Amazon fornisce un esempio da manuale di “disintermediazione economica”, perché scalza gli intermediari coinvolti nell’offerta dei servizi, ovvero i punti vendita. Entrando in contatto diretto con le case editrici da una parte e con i lettori dall’altra, trasporta i libri direttamente a casa di questi ultimi. E così continua a fare per molte altre categorie merceologiche (apparecchiature digitali, vestiario, oggettistica di ogni tipo, generi alimentari…): Amazon mette a disposizione una piattaforma online per la relazione diretta tra venditori e clienti finali, diventando un modello anche per altri settori. Uber, per esempio, attiva una relazione online diretta tra potenziali autisti e persone che hanno bisogno di un passaggio, bypassando la figura dei taxisti.

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Sul mutamento, e sulla formazione, dei valori sociali

July 31, 2019 No Comments»
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Fino a pochi anni fa dalla terrazza del nostro attico si godeva del tanto verde del circondario. Il nostro palazzo si trova infatti inserito in un vecchio contesto residenziale che per quanto non pianificato presentava ampi parchi privati alberati. Di recente, però, questi giardini sono stati in buona parte rimpiazzati da nuove grandi costruzioni.

I proprietari delle vecchie abitazioni hanno ceduto i propri terreni ad aziende costruttrici: quest’ultime hanno abbattuto edifici e alberi per poi erigere alti palazzi sulla maggior parte del suolo disponibile, e nei pochi spazi esterni rimasti, pavimentazione destinata al parcheggio auto. Una sfortunata legge regionale ha consentito loro un considerevole aumento di cubatura edilizia, a fronte della costruzione in classe energetica A (ottima notizia), ma tollerando affronti all’armonia estetica ed ambientale del quartiere (notizia non proprio ottima, oltretutto in una città già gravata da inquinamento e caos urbanistico).

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Sulla finanziarizzazione dell’economia, e degli stati

July 26, 2019 One Comment »

Frequentando il mondo delle aziende mi rendo conto di quanto alcune di esse, in qualche modo, esistano su due diversi livelli: da una parte l’impresa fatta dai collaboratori e dal loro lavoro, dall’altra quella fatta dai valori azionari e di performance sul mercato. Spesso, specie nel contesto dei grandi gruppi industriali, queste realtà sono scisse tra loro: a fianco di una maggioranza di persone per le quali l’azienda equivale al lavoro che essi esprimono attraverso di essa, oltre che ai prodotti o servizi che ne risultano, convive un gruppo minoritario per cui l’impresa equivale anche e soprattutto ai soldi che genera.

Quando si parla di finanziarizzazione dell’economia ci si riferisce all’accresciuta predominanza della missione finanziaria delle aziende su quella produttiva. Agli occhi di un osservatore esperto (devo però in questo caso ammettere che io non sono specialista in macro-economia), si tratta di un esperimento di ingegneria economico-sociale promosso più o meno consapevolmente dagli stati nazionali e dalle banche centrali. Sulla base dell’imperativo di una crescita del PIL di cui tutti beneficeranno vengono attuate politiche monetarie espansive – in primis, bassi tassi di interesse – che consentono a banche ed enti investitori di qualsiasi tipo di accedere in maniera molto conveniente a grandi capitali. Si tratta di un eccesso di denaro, perché in questo caso i soldi non sono generati ne’ associati ad alcuna attività produttiva corrente, ma piuttosto “piovono dal cielo”: tale sovrabbondanza verrà riversata dagli investitori nel mondo delle aziende, andando in qualche modo ad inquinarne il comportamento.

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La rivoluzione della sostenibilità (20): bisogni sociali vs. autoreferenzialità dei mercati

July 23, 2019 No Comments»
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Si allarga la cerchia di giocatori che partecipa alla chat organizzativa del nostro calcetto del mercoledì sera. Io stesso ho costituito il relativo gruppo Whatsapp, nell’ormai lontano dicembre 2017: all’inizio eravamo in 3, ora siamo in 7 ed ultimamente il traffico di messaggi è vorticosamente aumentato. Sopraffatto dalle continue interruzioni sul telefonino, ieri sera ho proposto agli amici di “darci una regolata”.

Ho cercato a lungo, ma non sono ancora riuscito a trovare il modo per selezionare quali gruppi Whatsapp abilitare per le notifiche immediate: tutti i gruppi continuano a segnalare in tempo reale l’arrivo di nuovi messaggi, anche quando posti in modalità “silenzioso”. Di certo desidero un avvertimento a schermo dalle chat di coordinamento famigliare e lavorativo, ma non mi posso permettere di essere distratto in continuazione da discussioni che, per quanto piacevoli e affettuose, non sono urgenti e possono attendere un momento più opportuno. La mia proposta agli amici del calcetto è stata questa: perché non ci limitiamo a usare la chat nelle sole giornate del lunedì e mercoledì quando è più forte l’esigenza di coordinarci? Perché non ci accordiamo su quale principale finalità dare alla chat, se solo di coordinamento o anche di interlocuzione ludica?

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La rivoluzione della sostenibilità (19): reinventare il sistema operativo dei mercati

July 22, 2019 No Comments»
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Osservo lo sviluppo dei mercati digitali: da ormai molto tempo il trend è quello di far migrare tutti i dati e le applicazioni degli utenti finali nel “Cloud”. Lo spazio fisico ed elettronico per mantenerli nei dispositivi locali preesisteva e nella maggior parte dei casi era sufficiente, ma si decide di costruire e spingere commercialmente una nuova infrastruttura centralizzata di server. Il Cloud consentirà alle compagnie di software e telecomunicazioni di generare una nuova economia di stoccaggio, analisi, scambio e commercio dei dati generati dagli utenti (big data).

Questa nuova frontiera del mondo digitale è seducente e sorprendente, ma chi di noi mette a fuoco le potenziali ripercussioni ambientali non può che rimanerne sconcertato. Quanto costa al pianeta questo nuovo mondo di bit, i quali per essere generati/archiviati/trasferiti consumano perlopiù risorse inquinanti e non rinnovabili? Erigere e mantenere operativo un data center significa non solo farsi largo nel preesistente ambiente fisico, ma anche impiegare enormi quantità di plastica e di alluminio, oltre che titaniche quantità di energia elettrica per il funzionamento e raffreddamento delle macchine.

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