Cade il velo sul mondo arabo?
E improvvisamente scocco’ un fulmine a ciel sereno. Che parte del mondo arabo fosse relativamente povero e sottomesso lo potevamo intuire. Nonostante questo, i media occidentali ne ingigantivano l’anima islamica estremista, l’unica che in molti finivano per vedere. Le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto ci aprono gli occhi su una realta’ molto meno distante di quanto riuscissimo a immaginare: milioni di giovani con poco lavoro, connessi al mondo da Internet, vestiti di jeans e maglietta, mossi piu’ dal pragmatismo che dalle ideologie. Per un istante mi sembra che a protestare ci possano essere i miei colleghi dei campus nord-americani ed europei.
“The poverty belt”: la cintura di poverta’ che cinge il ventre grasso dell’Europa.
Anche cosi’ si auto- definiscono i paesi del Maghreb disposti ad arco lungo la costa meridionale del Mediterraneo. La trovo una metafora potente perche’ richiama effetti compensatori tra macro-aree del pianeta, in un momento storico in cui la realta’ e l’ideologia della globalizzazione parlano soltanto di espansione e contaminazione della crescita economica da paese a paese. Anche in Egitto arriva la globalizzazione, anche se ancora sbilanciata su pochi settori: agricolo, turistico, energetico, automobilistico, militare.
I flussi piu’ importanti continuano ad arrivare dall’Europa e dagli USA: sottoforma di persone benestanti che affollano i siti storici e le spiagge, nonche’ di strumenti bellici volti ad assicurare che l’Egitto continui a recitare il ruolo di paciere e alleato strategico in Medio Oriente.
Mentre l’establishment militare egiziano trattiene per se’ la maggior parte della ricchezza generata dalle prime riforme di apertura internazionale, ma molta della popolazione urbana istruita sfrutta un altro straordinario motore di globalizzazione – Internet – per aprirsi gli occhi sulle opportunita’ del mondo e prendere fiducia in se’ stessa. Sui social networks molti giovani imparano che…“yes, we can”: si’, possiamo esprimerci ed essere ascoltati. Riparati da schermi di computer, riescono per la prima volta ad eludere il regime repressivo. Sembra che Internet trasferisca loro potere, favorendone l’“empowerment”: laddove esiste una domanda o un bisogno latente, la rete abilita le persone a perseguirlo, accelerando dinamiche sociali che esistevano solo in fieri.