Filippo Dal Fiore

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Cade il velo sul mondo arabo?

February 7, 2011 No Comments»
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E improvvisamente scocco’ un fulmine a ciel sereno. Che parte del mondo arabo fosse relativamente povero e sottomesso lo potevamo intuire. Nonostante questo, i media occidentali ne ingigantivano l’anima islamica estremista, l’unica che in molti finivano per vedere. Le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto ci aprono gli occhi su una realta’ molto meno distante di quanto riuscissimo a immaginare: milioni di giovani con poco lavoro, connessi al mondo da Internet, vestiti di jeans e maglietta, mossi piu’ dal pragmatismo che dalle ideologie. Per un istante mi sembra che a protestare ci possano essere i miei colleghi dei campus nord-americani ed europei.

“The poverty belt”: la cintura di poverta’ che cinge il ventre grasso dell’Europa.
Anche cosi’ si auto- definiscono i paesi del Maghreb disposti ad arco lungo la costa meridionale del Mediterraneo. La trovo una metafora potente perche’ richiama effetti compensatori tra macro-aree del pianeta, in un momento storico in cui la realta’ e l’ideologia della globalizzazione parlano soltanto di espansione e contaminazione della crescita economica da paese a paese. Anche in Egitto arriva la globalizzazione, anche se ancora sbilanciata su pochi settori: agricolo, turistico, energetico, automobilistico, militare.
I flussi piu’ importanti continuano ad arrivare dall’Europa e dagli USA: sottoforma di persone benestanti che affollano i siti storici e le spiagge, nonche’ di strumenti bellici volti ad assicurare che l’Egitto continui a recitare il ruolo di paciere e alleato strategico in Medio Oriente.

Mentre l’establishment militare egiziano trattiene per se’ la maggior parte della ricchezza generata dalle prime riforme di apertura internazionale, ma molta della popolazione urbana istruita sfrutta un altro straordinario motore di globalizzazione – Internet – per aprirsi gli occhi sulle opportunita’ del mondo e prendere fiducia in se’ stessa. Sui social networks molti giovani imparano che…“yes, we can”: si’, possiamo esprimerci ed essere ascoltati. Riparati da schermi di computer, riescono per la prima volta ad eludere il regime repressivo. Sembra che Internet trasferisca loro potere, favorendone l’“empowerment”: laddove esiste una domanda o un bisogno latente, la rete abilita le persone a perseguirlo, accelerando dinamiche sociali che esistevano solo in fieri.

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Sul formalismo, la complessita’ e gli olandesi

January 4, 2011 No Comments»
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Rifletto su alcune problematicita’ del mondo della ricerca scientifica, cercando di trarre insegnamento da una recente disavventura personale. Traggo spunto dalle critiche mosse verso la mia dissertazione di PhD da parte di due valutatori esterni chiamati a dare il loro nulla osta alla pubblica difesa del lavoro.

La loro critica principale muove dal fatto che il manoscritto raccoglie pezzi di lavoro molto differenti tra di loro, e risulta quindi poco coerente nel suo complesso e incapace di trarre conclusioni univoche sull’oggetto di studio. Tre casi di studio sono stati utilizzati per quantificare l’impatto delle nuove tecnologie mobili (come i cellulari che ci consentono di essere sempre raggiungibili e connessi con l’informazione) sulla mobilita’ quotidiana delle persone. Non si e’ pero’ riuscito a concludere molto di piu’ di un generico “la mobilita’ umana si fa piu’ destrutturata, imprevedibile e complessa”.

Tale lettura semplicistica mi offre l’occasione di ragionare sulla questione della coerenza interna e dell’univocita’ interpretativa del lavoro scientifico. Lavorando per molto tempo in Olanda, mi sono reso conto di quanto i ricercatori abbiano a cuore tale problema formale, al punto che a volte mi sembra che si stia piu’ attenti a fare le cose bene, piuttosto che a fare le cose che e’ veramente necessario fare. In altre parole ci si domanda poco “ha senso quello che sto facendo?”, ma piuttosto “sto facendolo alla perfezione?”. Tale approccio si potrebbe definire formalismo – conta piu’ la forma della sostanza – e richiederebbe un’attitudine burocratica, piuttosto che critica e creativa.

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No, we can’t

November 24, 2010 No Comments»

No, we can’t. Il voto del mid-term riporta l’idealista Obama con i piedi per terra.
Credevi che si potesse cambiare l’America? Beh, questo perche’ non conoscevi abbastanza l’America, per sapere che il potere in quel paese dipende piu’ dai gruppi di interesse e dal “big money” di quanto si possa immaginare. Credevi che si potesse cambiare il mondo? Beh, questo perche’ non conoscevi abbastanza l’economia globalizzata, la cui evoluzione e governabilita’ vanno ben oltre quello che puo’ fare un presidente degli Stati Uniti.

Seguendo una tale ipotesi di sintesi e semplificazione, si potrebbe concludere che Obama abbia fallito nella sua missione. Lui stesso ha dichiarato di assumersi le responsabilita’ di quello che e’ andato storto. Non sono di certo mancati gli errori di tattica politica (inevitabili per un presidente outsider alla sua prima esperienza?), ma a mio avviso Obama ha fatto “di piu’ e forse meglio” di quanto gli si riconosca in questo momento. Per affermare questo e’ necessario assegnare importanza a due fatti che hanno caratterizzato questi suoi primi due anni di presidenza:

- la priorita’ morale e assoluta assegnata alla riforma del sistema sanitario;
- il fatto che, considerata la congiuntura economica globale, fosse anzitutto necessario non perdere posti di lavoro, prima ancora di pensare a crearne di nuovi;

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Scienza e tecnologia al servizio del mondo

October 25, 2010 No Comments»
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Il treno sguscia sornione tra valli e gallerie, con una dolcezza che ben si addice al paesaggio alpino ma ben poco all’importanza del percorso. Occorrono oltre 4 ore per raggiungere Villach da Vienna: tante se rapportate ai Km, perfette per approfondire una riflessione.

Sono reduce da due giornate a seguito di un gruppo di accademici austriaci, per convincere il governo locale della bonta’ di una proposta per un nuova scuola internazionale di dottorato. Argomento: le scienze e tecnologie dell’informazione geografica (GIS), perlopiu’ software che consentono la visualizzazione e l’analisi su mappa di un paesaggio, di una citta’ e di qualunque altra entita’ che abbia una componente geografica.

La missione si e’ rivelata piu’ ardua di quanto tutti ci potessimo augurare. La commissione, costituita da esperti americani e inglesi, non ha perso tempo a porre le domande piu’ basilari e difficili: in che modo si favorira’ il lavoro collaborativo tra i ricercatori? Quali sbocchi professionali dopo il dottorato? Perche’ il GIS e’ importante per il mondo e perche’ la ricerca accademica e’ importante per il suo sviluppo?

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Quale futuro per l’Italia?

October 10, 2010 No Comments»
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Italia paese in declino. Se e’ vero che accollarsi un’etichetta negativa puo’ essere semplicistico, ingiusto e demoralizzante, e’ certamente utile capire cosa si puo’ fare per migliorare la situazione.

Mi interrogo sul possibile futuro industriale del paese, sul contributo italiano all’economia globalizzata, sulla tipologia di lavori che saranno presenti sul mercato nazionale tra 10 o 20 anni. Parto da una constatazione allarmante: l’Italia – cosi’ come altri paesi dell’Europa mediterranea – non appartiene ne’ alla fascia dei paesi in via di sviluppo, dove le imprese delocalizzano e sfruttano i bassi costi del lavoro, ne’ alla fascia dei paesi piu’ tecnologicamente avanzati, dove si costruiscono i prodotti e i settori del futuro. Il rischio per il paese, in parte gia’ realta’, e’ quello di essere bypassato.

Fatto salvo i molti casi di alta specializzazione e grande innovazione, il destino dell’industria pesante cosi’ come dei settori manufatturieri classici – tessile/abbigliamento, cuoio/calzature, mobili, metalmeccanica – sembra gia’ segnato: molte imprese stanno gia’ chiudendo, delocalizzando e lasciando quote di mercato ai competitori cinesi o di altri paesi emergenti. La FIAT affossa Melfi e apre in Serbia. Possiamo non ritenerlo giusto, con ottime ragioni, ma la domanda che FIAT e molte altre aziende sono costrette a farsi per rimanere competitive e’: “perche’ l’Italia?”

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