Società fondata sul lavoro o distrutta dal lavoro?
Arriva l’ora di pranzo e indugio più del solito a tavola con amici o colleghi, coinvolto in conversazioni socialmente utili e personalmente distensive. Ritorno al lavoro scrutando l’orologio, dicendomi che avrei dovuto fare prima e in generale, quando possibile, dovrei semplicemente fare il mio dovere di persona produttiva, invece di perdermi in fronzoli. E’ sbagliato chiedersi se ci sia un urgente bisogno di fare chissà che cosa, non importa che io non debba timbrare nessun cartellino in quanto libero professionista, quello che conta è lavorare per non sentirsi in colpa per non averlo fatto.
E’ interessante a questo punto notare come questo insidioso senso di colpa che credo accumuni molti di noi sia slegato dal generale contributo che diamo alla collettività. Tipicamente, il tempo sottratto al lavoro è un tempo dedicato alle relazioni sociali e al benessere personale, due condizioni indispensabili per funzionare bene in società. E’ più importante trascorrere una mezzora in più con i propri figli, nella propria comunità, o dando ascolto e compagnia a un amico, o mezzora in più lavorando a chissà quale ennesima attività? Vale veramente la pena lavorare quanto più possibile, quindi in condizioni di assuefazione o di stress, piuttosto che porci un limite puntando su maggiore qualità, presenza mentale (mindfulness) e attenzione agli altri?