La grande storia dei figli
Ad oltre tre mesi dall’inizio della quarantena che ha limitato la nostra mobilità, mi rendo conto di quante cose siano cambiate all’interno della nostra famiglia. Tuttora io e mia moglie lavoriamo stabilmente da casa, e la gestione contemporanea delle attività dei nostri due figli è diventata la normalità. Mai avevamo trascorso tanto tempo gli uni al fianco agli altri, una totale condivisione della vita che continua e continuerà anche nel corso dell’estate.
Devo confessare che nutrivo un po’ di preoccupazione in quell’ormai lontano lunedì 9 Marzo, quando di ritorno da Bolzano sapevo che mi sarebbero aspettate lunghe settimane di stanzialità a Padova. In fin dei conti, tutti noi, grandi e piccoli, abbiamo bisogno dei nostri spazi, delle nostre libertà gli uni dagli altri, di tempo per fare quello che solo noi sappiamo e che più ci piace. Quella che io chiamo “la palestra della famiglia” si è andata intensificando in questi ultimi mesi, ma proprio per questo sento che ci ha irrobustito e maturato sia come genitori che come figli.
Gli inevitabili scontri ci sono serviti da una parte per affrontare e maturare quegli aspetti di noi stessi che più coinvolgono emotivamente gli altri, dall’altra per accogliere con più interesse e più tolleranza le diversità e le sensibilità presenti in famiglia.
Credo sia un’esperienza comune osservare quanto i rapporti famigliari siano capaci di smuovere emozioni forti in noi, in molteplici direzioni, più di qualsiasi altra esperienza di vita. La vicinanza continuativa ci porta a sviluppare attaccamento e identificazione con il coniuge o compagno e con i figli, fino a formare un tutt’uno emozionale alquanto suscettibile. Mi è sempre più chiaro quanto i nostri famigliari e le persone che più ci stanno vicino rappresentino lo specchio di noi stessi: più di altri essi riflettono energeticamente – nelle loro reazioni e comportamenti – gli input espliciti e impliciti che noi proponiamo loro.
Che ci piaccia o meno, loro parlano di noi e della nostra missione nel mondo come nessun’altro, portando a galla quegli aspetti di noi su cui la vita ci chiama a lavorare: a beneficio nostro, loro, e di tutti coloro che gravitano e graviteranno intorno a noi.
L’altra sera, dalla casa al mare, mi sorprendo a scrivere questo appunto in chiave interamente spirituale:
“Guardo ai nostri due meravigliosi figli e penso che Dio ha voluto questo per me: vivere fino in fondo la dimensione di padre, oltre che la mia dimensione di figlio su cui la genitorialità mi fa ora riflettere. Guardo i loro occhi, ascolto i loro sorrisi, osservo i loro movimenti candidi e la loro crescita. Mi perdo nella loro purezza, autenticità e immensa eleganza: mi portano in un’altra dimensione, sono una finestra aperta su Dio.
I miei figli mi conoscono meglio di chiunque altro, sanno ciò in cui devo migliorare per recuperare il contatto con il vero amore, e proprio lì mi vanno a “provocare”. La famiglia è la casa del percorso spirituale, è la palestra dove i nostri angeli ci spingono a superare le prove interiori più difficili.”
E ancora: “I miei figli mi correggono sempre, facendomi puntualmente notare:
- quando dico una bugia per convincerli
- quando faccio il pagliaccio per attirare l’attenzione su di me
- quando non sono completamente presente, nel momento che stiamo vivendo insieme
- quando sorvolo e passo sopra come un bulldozer sulla loro sensibilità, perché mi spazientisco
- quando mi intrometto senza preavviso nel loro mondo, intimandoli di smettere
- quando forzo loro le cose, di fretta e mettendo pressione
Anche mia moglie mi corregge:
- quando rispondo distratto o disinteressato
- quando la ascolto ma vorrei fare altro
- quando ci innervosiamo a vicenda
- quando mi sento escluso e rifiutato, nei momenti in cui lei preferisce stare da sola”
Quanto lavoro in questi anni per me su questi punti. Quanta frustrazione, quante arrabbiature, quante prove da superare.
Eppure, è proprio questa la straordinarietà della vita: se persisti, se continui a giocare al meglio senza mollare, prima o poi sarà la vita stessa a darti una spinta per ritornare ad essere libero, emancipandoti da costrizioni interiori che già sapevi non esserti utili né necessarie.
Ciascuno di noi si conosce, ed è come se a livello inconscio si scegliesse le condizioni più appropriate per evolvere.
Partendo dal mio attuale livello di consapevolezza, il lavoro più importante da fare riguarda l’emancipazione dal mio attaccamento-identificazione con i miei famigliari: che più che essere una manifestazione completamente sana d’amore, sembra essere il frutto di insicurezza. Se penso che “loro siano miei” e che “mi rappresentino”, finisco per “sentirmi responsabile” e “prendermi carico” della loro vita molto di più quanto mi spetta, rischiando ben presto di:
- imporre su di loro le mie preferenze
- proiettare su di loro le mie paure
La strada più benevola per me stesso, per loro, e per tutti, è invece quella opposta, ovvero quella della fiducia. Occorre a mio avviso fidarsi della grandezza di ogni essere umano, così come della giustezza di ogni situazione: vederla in questo modo ci aiuterà ad accettare quello che la vita ci propone, ridimensionando quello che ci appare minacciosamente diverso/immeritevole/ignoto e creando le condizioni per dare il meglio di noi stessi.
Si tratta, in ultima istanza, di un atto di fede, verso una vita che non può sbagliarsi e che sta proponendo, a me stesso e ai miei famigliari, esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Potrebbe anche non piacerci, ma a quel punto io avrò compreso che quella sofferenza era necessaria, funzionale per vivere maggiormente nell’amore.
Una frase per tutte dovremmo regalare al nostro cuore: non ti preoccupare perché, veramente, va tutto bene.
Per concludere, mi affido alle parole di Kahil Gibran:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri.
Perché essi hanno i propri pensieri.
Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime.
Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi.
Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati.
L’Arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la Sua forza vi piega affinché le Sue frecce vadano veloci e lontane.
Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’Arciere.
Poiché così come ama la freccia che scocca, così Egli ama anche l’arco che sta saldo.
· quando dico una bugia per catturare la loro attenzione
· quando faccio il pagliaccio per attirare l’attenzione su di me
· quando non sono completamente presente, nel momento che stiamo vivendo insieme
· quando sorvolo e passo sopra come un bulldozer sulla loro sensibilità, perché mi spazientisco
· quando mi intrometto senza preavviso nel loro mondo, intimandoli di smettere
quando forzo loro le cose, di fretta e mettendo pressione