Filippo Dal Fiore

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Cosa significa essere occidentali?

February 21, 2009
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Il viaggiare mi ha insegnato che per capire te stesso devi immedesimarti nell’altro.
Attraverso le esperienze di vita in altri paesi europei, mi sembrava di cogliere l’essenza dell’essere italiano; in America per la prima ho creduto di capire cos’era l’Europa; durante il mio soggiorno lavorativo a Milano ho scoperto il Veneto senza metropoli. Mi e’ rimasta la curiosita’ di scoprire l’occidente attraverso un’ esperienza di vita al di fuori dei suoi confini, magari in Asia o in Africa.

Poi e’ capitato che dopo tanto tempo ho ripreso a leggere romanzi e attraverso di essi mi sono immedesimato in modi di vedere la vita lontani dal mondo occidentale consumistico. Il cacciatore di aquiloni, sull’Afghanistan; La citta’ della gioia, sull’India; Neve, sul mondo musulmano. Prima, risultava difficile immaginarsi che addirittura 4 su 5 persone al mondo potessero condurre una vita tanto diversa dalla nostra, senza doccia, senza macchina, senza educazione ne’ informazione. Senza riuscire a vederseli ne’ immaginarseli era come se non esistessero: ma dove sono tutti questi poveri del mondo?

Quello che piu’ mi ha colpito dalle letture e’ una singola dimensione del rapporto tra mondo moderno e “resto del mondo”: la dimensione dell’individualismo. In occidente tutto e’ possibile: godere delle comodita’ e dei piaceri di qualsiasi tipo di bene materiale; conoscere e apprezzare il mondo attraverso la cultura e l’esperienza diretta. La nostra vita e’ piena di cose da fare ed e’ bella per questo. Ma forse ci lascia poco tempo per amare, nel senso di prendersi cura degli altri e della natura oltre che di noi stessi, senza aspettarci nulla in cambio.

Un proverbio indiano recita: “tutto quello che non e’ dato, e’ perso”.
Completamente controccorente rispetto alla logica materialistica, peraltro comprensibile, dell’accumulazione. In un regime di competizione, tipicamente sul lavoro, le persone pensano alla propria posizione a discapito degli altri, che finiscono per diventare seccatura (se ci chiedono di fare qualcosa per loro) e termine di paragone (sono meglio o peggio di noi?), se non minaccia e ostacolo ai nostri fini. Forse e’ proprio questo piu’ di altre cose che il mondo “povero” ci recrimina: la capacita’ di rinunciare, per dare agli altri.

La gioia altruista arriva dalla condivisione e dalla fratellanza, il sentirsi uguali a dei “fratelli” piuttosto che superiori o inferiori a degli “estranei”. Il dare finirebbe per distrarsi dalle nostre sofferenze di autocentrati. Invece per noi occidentali la vita e’ cosi’ sofisticata e piena di cose da fare, che finiamo per essere immersi nei nostri pensieri. E’ forse straordinariamente difficile non diventare prigionieri delle cose da fare e di quelle che abbiamo, nonche’ delle altre persone (dell’ansia di prestazione verso di loro). Non perdere il senso e la bellezza delle “piccole” cose: di un sorriso, dell’acqua della doccia, di una parola, di un colore. Il costruito e la tecnologia onnipresente si frappongono tra noi e la natura, i medicinali ci mettono in fuga da qualsiasi forma di sofferenza.

E’ come se fossimo anestetizzati.
E’ inevitabile, ed e’ giusto che sia cosi’ (non credo si possa pretendere tutto dalla vita), ma forse e’ proprio questo che salta agli occhi di noi nel resto del mondo. Mentre in occidente non abbiamo piu’ tempo da sacrificare per fare figli. Mentre guardiamo alla loro miseria e al loro degrado e non riusciamo a capacitarci di come un essere umano possa vivere in quelle condizioni.
Abbiamo progresso, cultura e benessere, e credo dobbiamo goderceli con orgoglio e senza sensi di colpa. Ma nella consapevolezza che la vita resta qualcosa di straordinariamente piu’ grande, che offre strade alternative, e forse piu’ semplici, alla felicita’.

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