La trappola dell’auto-centratura
Penso a tutte le cose che ho fatto nell’ultimo anno e penso alla societa’ contemporanea in
cui, giustamente, siamo tutti intenti a perseguire qualche forma di interesse. Le opportunita’ per fare qualcosa di bello sembrano essere sempre piu’ numerose, e non e’ per nulla facile resistervi. Cerchiamo di trovarci un lavoro che ci interessi, di conoscere luoghi e persone interessanti, di perseguire obiettivi che abbiano un senso per noi. Piu’ siamo curiosi e preparati culturalmente, piu’ si ci spalancano difronte nuovi mondi da esplorare. Piu’ la nostra indole e’ indipendente e svincolata dalle tradizioni, piu’ spaziamo verso cose nuove e diverse.
E’ liberatorio vivere in una societa’ acculturata dove ciascuno fa quello che vuole, ma c’e’ un rischio: il distanziarsi gli uni dagli dagli altri, allorquando i nostri peculiari interessi non coincidano piu’ con quelli di chi ci circonda. Seguendo il richiamo dell’“io” (mi piace, lo voglio) ci distacchiamo dal “noi”, dal sentire comune, e da richieste altrui che potrebbero apparire seccanti. Senza colpa, finiamo per diventare auto-centrati e per costruirci un mondo su misura, cosa bella perche’ ci consente di mettere piu’ facilmente a frutto la nostra creativita’, ma anche limitante perche’ non ci fa sentire parte di un progetto piu’ grande che va oltre noi stessi.
Tornano in mente gli Stati Uniti, societa’ individualista per antonomasia, specie nell’area urbana dell’East Coast che poi e’ quella che conosco meglio. Come non mai le persone sembrano rinchiuse nelle loro bolle mentali, magnificate ma anche preoccupate per il mondo desiderato che cercano volitivamente di costruirsi intorno a se. Tutti i sacrifici sono rivolti al proprio progetto personale, e tante sofferenze sembrano determinate dal mancato esaudimento dei desideri, da quell’’“io voglio” che si scontra sistematicamente con la realta’. Mi sorprendeva in particolare la varieta’ di iniziative a cui lavoravano ricercatori e imprenditori, idee tanto creative quanto anche spesso futili e improbabili, frutto di un’auto-assorbimento che potrebbe tanto esaltare i nostri talenti quanto anche distaccarci da qualsiasi forma di buon senso.
L’onda lunga americana sembra essere arrivata anche qui in Italia e in generale nel Vecchio Continente. Unicita’ e innovazione sembrano le parole d’ordine per l’uomo che vuole stare “al passo con i tempi”, ma se non coltivate nella giusta misura e all’interno di un consenso sociale e culturale piu’ ampio, rischiano di allontanare le persone le une dalle altre. Dalle ricerche della ricercatrice sociale Brene Brown sul senso profondo di connessione tra le persone (connectedness) emerge l’importanza di rendere visibile agli altri il nostro universo piu’ intimo di sogni e paure. In questi tempi in cui i percorsi di vita e di specializzazione si sono moltiplicati, risulta pero’ sempre piu’ difficile farsi capire da chi non ha esperito le stesse cose.
Se una volta in famiglia ci si sedeva nello stesso divano di fronte allo stesso programma, ora ci si potrebbe sedere ognuno in una stanza diversa di fronte a un programma diverso. Si trascorre meno tempo insieme, e si hanno meno argomenti e passioni in comune. La societa’ contemporanea ci offre sempre piu’ opportunita’ per personalizzare le cose a nostro piacimento, esercitare la nostra creativita’ e distinguerci dagli altri, ma allo stesso tempo anche per scavarsi la fossa della solitudine. L’auto-centratura e l’auto-assorbimento sembrano infatti renderci troppo preoccupati per noi stessi per poterci prendere cura degli altri. Nostro malgrado e senza neanche accorgercene, diventiamo piu’ egoisti, al punto tale che gli psicologi americani Twenge e Campbell parlano dello scoppio di una “epidemia narcisistica”, di una moltiplicazione incontrollata delle pretese e dei diritti acquisiti delle persone.
Credo si parli troppo poco di questo lato oscuro della societa’ individualista, modello che invece continua a essere acclamato ogni giorno a livello mediatico, trasferendo ansia da prestazione alle persone. L’eroe dei tempi moderni sembra essere il maverick all’americana, l’individuo che contro tutto e tutti riesce ad avere un impatto significativo sul corso degli eventi dimostrando il proprio valore. Piu’ raramente vengono celebrati coloro che dimostrano il loro valore aiutando gli altri e mettendosi al servizio della collettivita’, sia questa la famiglia, l’azienda o un qualsiasi altro gruppo sociale. Invece che come sorgente di gioia e di motivazione, la loro generosita’ viene dipinta come accidente sfortunato, come triste rinuncia alla propria individualita’. Di fatto, pero’, e’ scientificamente provato che i comportamento altruistici, specie quelli in cui e’ immediatamente visibile la gratitudine dell’altro, generano soddisfazione autentica e autostima. Secondo la psicologa Lisa Fireston si ha infatti la sensazione immediata di servire a qualcuno, facendo tacere lo spirito critico attraverso il quale l’individualista si mette costantemente alla prova.
Dal punto di vista antropologico, inoltre, la generosita’ risponde al bisogno profondo degli esseri umani di essere ben accetti dagli altri, un bisogno ancestrale di sopravvivenza. Chi non la coltiva potrebbe sentirsi afflitto da serieta’ e preoccupazione. Sentite cosa scriveva al riguardo il maestro indiano Osho: “Nel momento in cui diventi serio diventi bloccato, il flusso si ferma, sei tagliato fuori dall’energia universale. Non puoi danzare quando sei serio, perche’ la serieta’ in pratica e’ tristezza. Ed e’ anche calcolo, business, si e’ sempre in cerca di un movente: Perche’? Perche’ lo faccio? Che cosa ci guadagno? Questi atteggiamenti vanno bene nel mondo degli affari, ma sono assolutamente sbagliati quando ti avvicini all’interiorita’.” Sembra un monito molto calzante per la societa’ individualista moderna.
Occorre quindi a mio avviso una maturazione sociale nel modo di vedere le cose, verso maggiore realismo ed equilibrio.
Non per negare le virtu’ dell’individualismo e della creativita’, ne’ per mettere in dubbio gli straordinari capolavori che attraverso di esse possono essere conseguiti, quanto piuttosto per rendere altre virtu’ equamente desiderabili. Ribilanciando i due orientamenti, verso se’ stessi e verso gli altri, potremmo forse arrivare ancora piu’ in alto e allo stesso tempo semplificarci tutti la vita.
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