Accogliere tutto della vita
Sono giorni di relativa calma per me.
L’organizzazione del lavoro mi ha abituato a periodi più frenetici e periodi più statici, e negli ultimi anni Settembre si è sempre collocato su questo ultimo versante.
In queste giornate relativamente sedentarie e solitarie, colgo l’occasione per riflettere sulla mia capacità di accogliere l’ordinario della vita, al di là di quello “straordinario” che per mia indole sempre rincorro e che in diverse forme sempre si manifesta.
Non è un forse un caso se mi accompagnano proprio in questo periodo alcune letture che trasmettono in maniera la capacità dei rispettivi autori di apprezzare e godere delle piccole cose. Provo grande ammirazione nel resoconto che Alberto Cancian fa del suo viaggio in Amazzonia nel suo The Journey of Joy: soffermandosi sui dettagli apparentemente minori delle sue giornate riesce a parlare il linguaggio autentico dell’amore. Riesce infatti a dare valore a tutto, senza distinzioni di giudizio tra quello che si potrebbe considerare “degno e importante” e quello che non lo è. Alberto riesce a portare rispetto per tutto e per tutti: lasciando fluire in me le sue parole, anche io mi avvicino al suo sentire.
Impazienza, frustrazione, molteplici pretese, dare le cose per scontate o a noi dovute.
Per capire il perché ci riesca difficile apprezzare le piccole cose – e in definitiva ad amare la vita quella che è – occorre forse capire che cosa si frapponga tra noi e questo sentimento. In parte forse si tratta del risvolto della medaglia della filosofia dell’“io posso” e del “tutto subito” di una società che eleva la libertà individuale a massimo valore. Viviamo tutti immersi in questa cultura, e senza volerlo o esserne consapevoli, consentiamo che essa permei la nostra mentalità.
Una mentalità che ci porta lontano sul piano dell’azione, perché genera proattività, ambizione/aspirazione e focus su sè stessi, ma che non sempre ci aiuta sul piano dell’essere, perché ci tiene distanti dalla lunghezza d’onda dell’umiltà e della comunione con quello che è e che c’è, qui e adesso. In mancanza di contatto con la dimensione dell’Amore, ci riesce difficile amare – e quindi anche amarci – profondamente e incondizionatamente, anche se per fortuna non mancano le soddisfazioni e le gioie quando raggiungiamo le nostre mete personali.
La strada evolutiva, però, è sempre presente per noi, anche se spesso assume la forma scomoda delle emozioni che più ci disturbano e da cui saremmo naturalmente portati ad allontanarci. Che cos’è la noia, con il suo senso di inutilità e di perdita di tempo, se non un’occasione che la vita ci offre per aiutarci ad apprezzare, invece di svalutare, quello che le nostre abitudini e i nostri condizionamenti sociali ci portano a considerare “piccole cose”? E’ un invito che la vita ci porge, per tornare ad amarla nella sua totalità.
Se siamo convinti che le emozioni disturbanti arrivino in nostro aiuto, piuttosto che contro di noi, sarà più facile accettarle e accoglierle, piuttosto che rifuggirle o combatterle. Per far questo occorre allenare la nostra capacità di resistenza, di stare in loro compagnia stringendo i denti e ricordandoci che nel futuro avremo molto da guadagnare dai loro insegnamenti. Per chi come me ha a cuore il futuro dell’educazione e della pedagogia, una consapevolezza di questo tipo assume i connotati straordinari di una svolta.
Penso ai miei figli, e di conseguenza anche a tutti i bambini e ragazzi del mondo: dando loro subito tutto quello che impulsivamente richiedono – e spesso anche di più – finiamo senza volerlo per alimentare la loro impazienza, portandoli sulla strada della pretenziosità piuttosto che della gratitudine. Mi piace invece inquadrare la questione in questo modo: quali occasioni cogliamo per allenare la loro capacità di resistere alle emozioni più scomode? Come trasferiamo loro il valore delle difficoltà, anche grandi, della vita?
E’ forse arrivato il momento giusto per guardare più a fondo dentro la componente edonistica della nostra filosofia, che poi diventa anche pedagogia, di vita. Perseguire e vivere fino in fondo la propria felicità personale rimane un obiettivo meraviglioso, rappresenta una delle più grandi conquiste di un processo umanistico di emancipazione e sviluppo dell’individuo. Occorre però cominciare ad accompagnare questa ricerca da una riscoperta del valore formativo della sopportazione e della fatica, come elemento che in qualche modo tempra il carattere e ci regala un senso di umiltà.
Più crescerà in noi la capacità di dare con gioia agli altri, più ci libereremo dal peso di noi stessi.
Più la nostra felicità si tingerà d’amore, più ci consentirà di valicare tutti i confini e far risplendere il mondo.