Sul mutamento, e sulla formazione, dei valori sociali
La rivoluzione della sostenibilità (post 21)
Fino a pochi anni fa dalla terrazza del nostro attico si godeva del tanto verde del circondario. Il nostro palazzo si trova infatti inserito in un vecchio contesto residenziale che per quanto non pianificato presentava ampi parchi privati alberati. Di recente, però, questi giardini sono stati in buona parte rimpiazzati da nuove grandi costruzioni.
I proprietari delle vecchie abitazioni hanno ceduto i propri terreni ad aziende costruttrici: quest’ultime hanno abbattuto edifici e alberi per poi erigere alti palazzi sulla maggior parte del suolo disponibile, e nei pochi spazi esterni rimasti, pavimentazione destinata al parcheggio auto. Una sfortunata legge regionale ha consentito loro un considerevole aumento di cubatura edilizia, a fronte della costruzione in classe energetica A (ottima notizia), ma tollerando affronti all’armonia estetica ed ambientale del quartiere (notizia non proprio ottima, oltretutto in una città già gravata da inquinamento e caos urbanistico).
In un mio precedente articolo “Sul liberismo” (link) ho preso spunto da questa storia per esplorare la questione del disallineamento tra interesse privato e interesse pubblico. In questo caso mi focalizzo invece sul solo tema edilizio, mettendo a confronto il modo in cui venivano costruiti gli edifici residenziali nel passato e come invece vengono costruiti oggi. Prendendo come unico caso empirico il mio micro-contesto padovano, potrei concludere che:
Un tempo, i palazzi:
- erano più piccoli
- presentavano vivaci colorazioni esterne
- erano circondati da giardini
- presentavano ampie metrature ed ambienti interni generosi
- erano dotati di impianti poco tecnologici
Ora, i palazzi:
- sono più grandi
- sono per lo più grigi/bianchi/color mattone
- sono circondati da parcheggi
- ad eccezione dei piani alti, presentano metrature ed ambienti interni ridotti
- sono dotate di impianti molto tecnologici
La mutazione del settore immobiliare ci racconta di come siano nel frattempo cambiati i valori sociali. Prima i costruttori e gli acquirenti davano valore agli alberi, ai colori, alla spaziosità, alla consonanza con il contesto circostante; ora costruttori e acquirenti danno valore alla massimizzazione della resa economica, alle tecnologie degli impianti, alla disponibilità di parcheggi. Nel frattempo, le famiglie si sono rimpicciolite, le automobili si sono moltiplicate oltre che ingrandite, il moltiplicarsi delle attività sociali si è tradotto in una generale avanzata del cemento sul verde.
Prendo ora spunto da questa analisi concreta per ragionare in termini più generali di valori sociali.
Sembra un mutamento lento e sottile quello che coinvolge i valori di una società: potrei paragonarlo all’alterazione di un software che da una parte determina l’hardware della società – ovvero le sue manifestazioni concrete, come quelle urbane o economiche - dall’altra ne è a sua volta determinato. Se questo è vero, l’umanità ha a disposizione due fronti di lavoro – il concettuale e il concreto, il pensiero precursore e l’esempio reale – per avviare un processo di riconciliazione tra nuovi e vecchi valori, mantenendo il meglio di ciascun mondo e liberandosi da quello che produce danno.
Detto questo, occorre a mio avviso essere consapevoli che gli esseri umani tendono a manifestare attaccamento ai propri valori, tramutandoli spesso in ideologie capaci di chiudere le menti e gli occhi. In questo caso i valori non esprimono più soltanto una preferenza individuale, ma una vera e propria dichiarazione di giustezza: indipendentemente dal contesto di applicazione, il verde è giusto e il cemento è sbagliato; la presenza di tecnologia è giusta, la sua assenza è sbagliata.
Inoltre, laddove la messa in pratica di specifici valori genera filosofie di vita da cui gli individui traggono motivazione e gratificazione, quegli stessi valori di riflesso determinano dei minus valori e quindi degli elementi di insofferenza. Ho esperito io stesso, con una certa sorpresa, che cosa questo possa voler dire: in cui recente viaggio in Georgia (ex-URSS) ho scoperto, per contrasto, quanto io stesso sia ancorato a valori quali apprendimento, miglioramento, risoluzione di quello che non va, positività, bellezza. La mia indole imprenditoriale mi portava infatti a percepire con acutezza un certo senso di scoraggiamento e di trascuratezza in alcuni contesti di quel paese, portandomi a chiedere tra me e me perché le persone non tirassero fuori le loro migliori energie e si applicassero.
Io per primo soffrivo dal giudizio, seppur implicito, che mettevo in gioco verso quel mondo percepito come rovinato: concettualizzarlo così mi suscitava, purtroppo, emozioni di frustrazione e disgusto. Mi chiedevo se la mia reazione non fosse la stessa che anche molti autoctoni provassero (anche l’Italia, a volte, riesce a generarmi emozioni simili!), anche se credo che, se solo comprendessimo fino in fondo la straordinaria complessità storico-psicologica di quei luoghi, tutti noi non potremmo che sviluppare compassione e quindi accettazione.
Forse, in conclusione, il rischio non è quello di avere valori in cui credere (tutti noi, in quanto esseri umani spirituali siamo portati naturalmente a farlo!), ma quello di ingaggiare una competizione o battaglia su di essi, prevenendo la presa di consapevolezza dei limiti della nostra prospettiva ed evitando fondamentalismi. Se è vero che laddove esiste un valore esiste anche un elemento metafisico di positività, allora ha senso consentire che quanti più valori possibile alberghino dentro il nostro mondo di esseri umani.
Immagine: https://www.scienzesociali.org/conflitto-dei-valori-moderno/