La rivoluzione della sostenibilità (17): l’essenza di un nuovo paradigma economico
Continuo il mio lavoro di analista del clima organizzativo, chiedendomi quale sia il suo senso ultimo: quale aspetto intimo del mondo sto cercando di comprendere?
Il mio animo di ricercatore mi porta a considerare ogni esperienza professionale e di vita come occasione di apprendimento: in questo caso intuisco che la mia continuata collaborazione con Great Place To Work si appresta a svelarmi dei meccanismi ancora più semplici e quindi fondamentali su cui si regge l’intero impianto concettuale dell’economia.
Dopo che decine di sondaggi e migliaia di commenti sono passati sotto i miei occhi, comprendo non solo quanto stiamo cambiando le aspettative delle persone rispetto al loro lavoro, ma anche in che modo il nostro modo di concepire l’azienda possa essere determinante. Se da un lato infatti sono sempre più le organizzazioni che comprendono l’importanza di concedere flessibilità, benefit e spazi di creatività a collaboratori sempre più formati ed esigenti, dall’altra ci si scontra con logiche di budget secondo cui le persone sono una voce di spesa, ovvero un costo per l’azienda, oltre che “risorse umane” al pari di altre tipologie di risorse. Come uscire dall’impasse?
Il linguaggio che utilizziamo rivela la cultura sottostante attraverso cui guardiamo il mondo. Da questo punto di vista non c’è forse termine migliore di “risorsa” che possa svelare l’essenza dell’economia scientifica moderna. Che cos’è una risorsa? E’ qualcosa di esterno da noi che noi abbiamo libertà di estrarre e sfruttare. Così come dalle risorse ambientali si estraggono le materie prime e le fonti di energia, dalle risorse umane si estrae lavoro e creatività. Sfruttare in questo modo le risorse comporta la loro usura e il loro consumo: se la logica è esclusivamente estrattiva non ci si preoccupa di rinnovare il loro potenziale produttivo e creativo, ma si procede piuttosto a reperire nuove risorse altrove.
La stessa ratio permea il mondo non a caso definito del consumo: al pari degli input anche gli output del sistema economico sono considerati qualcosa di esterno da noi che abbiamo la libertà di usare, fino a quando decideremo di gettarli per acquisirne altri.
Resto sbalordito difronte a un concetto che, per la sua semplicità, rappresenta ai miei occhi l’essenza ultima dell’attuale paradigma economico, ovvero il nucleo culturale da cui tutto il resto si sviluppa. Se questo è vero la definizione del nuovo paradigma economico di cui il mondo ha disperatamente bisogno non può che partire da qui, da una revisione dell’essenza originaria. Sfruttare deriva dal latino ex-fructus - togliere il frutto – un gesto comprensibile solo se la situazione che lo circonda consente il mantenimento della prosperità del sistema. Sento che quello che il mondo ha bisogno oggi è transitare dallo sfruttare al mettere a frutto. E’ necessario riconciliarci con il mondo degli esseri umani e della natura, un mondo che abbiamo oggettivizzato, cominciando a guardarlo come risorsa esterna da noi. Quel mondo siamo noi, e contiene un potenziale che possiamo far maturare.
Se questo è vero, la nuova economia dovrà essere ancorata all’assunzione ultima di scoprire il potenziale attraverso cui il mondo naturale e umano – danneggiati dall’epoca dello sfruttamento – possono essere messi nuovamente e diversamente a frutto. Si dovrà necessariamente passare da un ripensamento della principale istituzione produttiva a nostra disposizione, l’azienda. Se questa istituzione continuerà a sottostare a logiche di budget per cui gli esseri umani e la natura sono considerati un costo – quindi un elemento di negatività per l’istituzione stessa – allora essa non potrà che continuare ad attuare uno sfruttamento e danneggiamento del mondo. Da questo punto di vista vedo solo due strade alternative praticabili:
- o nella formalizzazione dell’istituzione aziendale gli esseri umani e la natura smettono di essere considerati un puro costo, ma piuttosto vengono contabilizzati – per lo meno in parte – come una positività che in qualche modo viene retribuita;
- o ci si emancipa completamente dall’istituzione aziendale, (ri)portando l’economia alla dimensione individuale, in cui cioè gli attori principali tornano ad essere gli individui “liberi professionisti”
A voi riesce difficile immaginare un mondo in cui tutto ciò che le aziende fanno per mettere a frutto il potenziale delle proprie persone e dell’ambiente naturale viene retribuito? O un’economia in cui esistono sempre meno aziende, ma sempre più persone e alleanze di persone che operano per scoprire e mettere a frutto il potenziale di sé stesse e degli ambienti naturali che più hanno a cuore?
La nostra capacità di risposta dipenderà dalla facilità con cui riusciamo a rispondere alla contro-domanda più ovvia che si possa fare, ovvero: chi paga?
Non si tratta più di retribuire solo la raccolta di un frutto che si consuma e che consuma, ma una messa a frutto sostenibile e votata al rinnovamento. La mia risposta è che – nei modi più tradizionali così come in quelli innovativi, individualmente così come collettivamente – tutti prima o poi ci renderemo disposti a farlo. Non credo che la nostra società abbia altra scelta: pagheremo e saremo pagati per mettere a frutto, piuttosto che sfruttare, il potenziale nostro e del mondo che ci circonda.