Filippo Dal Fiore

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La rivoluzione della sostenibilità (5): come si comporterebbero le imprese se fossero cellule del corpo umano?

May 23, 2018
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Si è conclusa da poco la terza edizione del mio corso in Sustainable Business (Economia Sostenibile) all’Università di Bologna. Si tratta di un’occasione preziosa, attraverso cui rifaccio il punto di che cosa è più importante fare per traghettare il sistema economico verso un modello più sostenibile. Parto dai materiali utilizzati l’anno precedente, modificandoli e integrandoli grazie alla nuova consapevolezza maturata nel frattempo.

Quest’anno più di altri, questa fase preparatoria ha portato a un fiorire di idee e intuizioni, che di volta in volta mi sono appuntato su qualche foglio di carta o sul telefonino. E’ giunto ora il momento opportuno per la loro decodifica, sotto forma di brevi articoli destinati al mio blog. Si parte, quindi!

Come si comporterebbero le imprese se fossero cellule del corpo umano?

Uno dei momenti più belli del percorso proposto ai ragazzi quest’anno è stata la mattinata dedicata all’esercizio del World Cafè. Si tratta di un format internazionale che io avevo visto sperimentare proprio all’interno del mio corso dalla collega Annamaria Tuan. Viene chiesto ai partecipanti di dividersi in piccoli gruppi; vengono poi assegnate delle domande per la discussione, con la richiesta di rimescolare i team ad ogni successivo quesito (i “capotavola”, invece, rimangono fermi al loro posto; presenteranno in plenaria le discussioni che si troveranno via via a presenziare).

Quello che fa maggiormente la differenza è la tipologia di domande che vengono proposte: nel mio caso propongo quesiti nuovi e generativi su cui ho riflettuto a lungo. Cerco di far valere la mia competenza di ricercatore nell’aprire porte e prospettive innovative; cerco di evitare che i ragazzi “si incaglino” in complicate discussioni sui meriti e i demeriti dell’attuale sistema economico. Queste, quindi, le domande inaspettate proposte:

- Che cos’è un giusto prezzo e come si può determinare?
- Come si comporterebbero le aziende se fossero cellule del corpo umano?
- Quali benefici comporta l’essere onesti, in un contesto di mercato?

Parto dall’assunto che l’economia possa diventare terreno fertile per l’etica, ma è necessario guardarla con occhi nuovi. Il risultato delle discussioni in aula va ogni oltre mia aspettativa: i quesiti in positivo inducono i ragazzi a ragionare in positivo, mettendo in gioco immaginazione e buon senso. E’ un grande piacere ascoltare argomentazioni e idee fresche, sensate, a tratti commoventi nella loro capacità di ridisegnare un futuro migliore per il mondo.

Un tema ricorrente di sfondo alle discussioni è quello della necessità di maggiore coordinamento all’interno del sistema economico attuale. Fino a quando i mercati assomiglieranno a dei campi di battaglia regolati dalla sola competizione tra le imprese, continueremo ad assistere a un enorme dispendio di energie: il risultato complessivo sarà ben più modesto di quello altrimenti conseguibile, e i danni collaterali ingenti.
In un contesto di questo tipo, il successo e la crescita degli uni avviene sempre a scapito di altri (paradigma win-lose), piuttosto che a beneficio di tutti (paradigma win-win). Nei sistemi naturali questo non avviene, se non in stato di malattia: nel corpo umano sano, per esempio, ogni cellula fa la propria parte a partire dalla propria unicità, a beneficio dell’intero organismo.

Mantenendo la stessa analogia, si potrebbe constatare che molta parte delle aziende-cellule che popolano il sistema economico attuale non riescano a comprendere la propria reale funzione, finendo per strafare a danno di altri, piuttosto che a perire su un terreno che in realtà non appartiene loro. Alcune aziende-cellule si rifiutano di morire anche se sarebbe giunta la loro ora, e così facendo prevengono la nascita di altre che potrebbero ricoprirne meglio la funzione.

Sembra quindi che per correggere – o meglio, curare – il sistema economico attuale le cellule-aziende dovrebbero da una parte essere supportate nell’identificare e valorizzare la propria unicità, dall’altra essere incentivate ad espletare la propria funzione potenziale e quella soltanto (così da non danneggiarne altre o esserne danneggiate). Se questi processi non avvengono spontanei a livello di cellula-azienda, l’intero sistema andrà riprogrammato “dall’alto”, fornendo per l’appunto alle cellule-aziende sovra- o sotto-potenziate supporti e incentivi per ritornare, se vogliamo, centrate su sé stesse.

Non è un caso, forse, se durante le discussioni del World Cafè molti studenti e studentesse abbiamo espresso la necessità di maggiore coordinamento all’interno del sistema economico. Sembra infatti che le teorie e le politiche neo-liberiste ci abbiano restituito un capitalismo senza testa, in cui la libera concorrenza tra tutti e su tutto porta in realtà alla crescita tumorale di quelle cellule-aziende che per i loro meriti “di forza”, e/o per i privilegi di cui godono, continuano a crescere a danno di altre cellule e funzioni vitali (mi viene in mente, in questo momento, Amazon).

Questa riflessione mi porta a ricollegarmi a un mio passato articolo – anch’esso relativo alla “Rivoluzione della Sostenibilità” (seconda parte, Sul liberismo) – in cui sostenevo che l’evoluzione dell’attuale sistema economico non può che passare dalla politica, ovvero dal vincolare le aziende a lavorare su alcune cose piuttosto che su altre, in alcuni modi piuttosto che su altri. A differenza delle cellule dei sistemi naturali, le aziende-cellule non sembrano ancora pronte per un’auto-regolamentazione fondata sul puro scambio, ovvero sul solo “mercato”, perché l’impulso a sopraffare, ovvero la paura di essere sopraffatti, non sono ancora stati domati. Molta parte delle aziende non sono ancora in grado di comprendere la propria unicità e funzione sistemica, altrimenti non si spiegherebbe perché così tante imprese decidano di entrare in mercati già iper-saturi e iper-competitivi, che producono già ingenti danni collaterali ai partecipanti e all’intero sistema.

Sembra inoltre che, una volte immerse in campi di battaglia sempre più stressanti (i mercati globali di oggi), la maggior parte delle imprese perda ulteriormente la capacità di comprendere in che modo il proprio ruolo è chiamato ad evolversi, a beneficio di un sistema economico e sociale altrettanto in evoluzione. A dispetto di tutto quello che dice e si scrive sull’attuale tumultuoso progresso tecnologico, a ben vedere la maggior parte dei settori industriali resta miope rispetto a potenziali sviluppi autenticamente evolutivi.

Un esempio tra tutti arriva a mio avviso dal mercato dell’auto, in cui le cui migliori energie innovative vengono di questi tempi catalizzate dalle self-driving cars, le auto a guida autonoma. Per quanto affascinante ed importante, questa innovazione non contribuirà a migliorare la malattia sistemica del traffico, ma, al contrario, potrebbe addirittura peggiorarla. A ben vedere, la ricerca e i finanziamenti dovrebbero essere distribuiti su un ventaglio ben più ampio di idee, funzionalità e unicità di pensiero, spingendosi ben oltre ad un upgrade dell’esistente. Perché, per esempio, non si dedica perlomeno pari attenzione alla possibilità di costruire auto compattabili, che occupino la minima porzione di spazio pubblico quando parcheggiate e solo lo stretto necessario quando in movimento?

Ritorno quindi a pensare che affinchè il sistema evolva, sia necessaria una politica, ovvero una decisione collettiva presa a suo beneficio. Se il mercato non è in grado di farlo, spetta alla collettività pilotare l’innovazione nella direzione necessaria, attraverso meccanismi regolamentativi che mettano fuori legge alcune cose e ne incentivino altre, reindirizzando l’agire dei mercati verso sfide più evolutive. Questo già succede, ma con una velocità di risposta enormemente più lenta rispetto all’avanzare delle malattie che manifesta il sistema. Negli ultimi tempi, per esempio, alcuni governi nazionali e regionali stanno cominciando a tassare la vendita di bibite gassate (le cosiddette “soda taxes”, a danno dei loro produttori), ma questo ancora non avviene per esempio per i dolciumi, i cui produttori in parte continuano in una corsa competitiva per immettere sul mercato prodotti dannosi per la salute delle persone.

In molti casi sono le imprese leader di mercato quelle che più temono l’autentica evoluzione degli stesso, perché temono di vedersi scalzate dalla loro posizione dominante. Diventano inoltre in grado di influenzare il processo politico collettivo nella direzione conservativa a loro più congeniale; da questo punto di vista, la politica dovrebbe prestare più attenzione alla situazione degli esclusi, che rappresentano il potenziale inespresso del sistema, rispetto agli inclusi, che a volte rappresentano l’inerzia dello stesso.

In conclusione, mi sorprendo di quanto lontano si possa arrivare partendo da una domanda nuova. “Come si comporterebbero le aziende se fossero cellule del corpo umano?” sembrava un quesito teorico e improbabile, originato di maniera ingenua da alcune mie recenti letture in materia di biomimesi. Ancora una volta invece, come affermava Einstein, l’immaginazione si dimostra “più importante della conoscenza, perché la conoscenza è limitata mentre l’immaginazione abbraccia il mondo”.

(Immagine: piranka/iStock)

Post scriptum

Sono passati tre anni da quando ho scritto questo articolo: a rileggerlo oggi mi sorprendo di quanto denso di argomenti sia, di quanto una domanda apparentemente fuori contesto sia stata proficua a mettere in luce molti aspetti nascosti del tema in questione. Il mio corso in Sustainable Business è giunto nel frattempo alla sua sesta edizione: anche quest’anno ho promosso dei piccoli gruppi di discussione intorno alla stessa domanda, meravigliandomi di quanto “fresche” e originali fossero le loro riflessioni. Ho quindi deciso di aggiungere a questo articolo questo post-scriptum, per fare tesoro di queste mie ulteriori riflessioni:

- se ciascun organo del corpo umano ha un proprio preciso scopo sistemico, qual’è invece lo scopo dei mercati (e chi lo decide)?
Di primo acchito risponderei che lo scopo dei mercati è quello di fornirci quello di cui abbiamo bisogno. Dopo averlo fatto, però, mi renderei conto di quanto rischioso e potenzialmente fuorviante sia legare la funzione sistemica dei mercati a dei bisogni da soddisfare: come facciamo ad essere sicuri che i bisogni percepiti all’interno della società siano quelli autenticamente evolutivi per la stessa? Legando la funzione sistemica dei mercati a un concetto connotato in termini di difetto/mancanza (invece, per esempio di pregio/presenza), non ci si imbarca per principio lingustico in una insoddisfacente rincorsa senza fine?

Così come gli organi del corpo umano sono finalizzati a mantenere il suo sano funzionamento, non è forse più conveniente rifinalizzare i mercati al sano funzionamento della società?
Torna in mente a questo punto un altro mio articolo sul tema, intitolato “Riattualizzare l’economia, finalizzandola al benessere” (link). Volendo inoltre tracciare un filo rosso tra quanto da me scritto tre anni fa e adesso, affermerei questo: per cambiare il sistema economico, è necessario dotare i mercati di uno SCOPO EVOLUTIVO e le imprese di un focus sul proprio CONTRIBUTO UNICO.

- come sostenuto da uno dei gruppi di discussione, le aziende operano per molti versi come le cellule di una corpo umano, ma se queste ultime possono sempre contare sulla disponibilità di ossigeno, le aziende si ritrovano ad essere preoccupate o ossessionate dalla propria linfa vitale, il denaro. Quanto sano può essere il sistema economico, se gli attori che lo compongono sono ansiosi relativamente alla propria sopravvivenza o percepita prosperità/adeguatezza? Seguendo questo ragionamento, risulta necessario rimuovere quest’ansia dal sistema, riportando le aziende ad operare in una condizione di SERENITA’ e di CENTRATURA.

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