Etica ed economia: il tradeoff tra quantita’ e qualita’
Etica ed economia: come creare un sistema in cui l’una possa nutrirsi dell’altra?
Da qualche ho la fortuna di conoscere da piu’ vicino il mondo delle aziende multinazionali, dedicando piu’ tempo alla questione…
Ho l’impressione che gli attuali mercati globali, iper-competitivi e dominati da imprese ad azionariato diffuso giochino complessivamente a sfavore della qualita’ dell’operato delle aziende. Parto dalla considerazione che le imprese quotate in borsa hanno come principio guida quello di far crescere numericamente il valore delle azioni. Quotandosi in borsa, un’azienda perde la liberta’ di perseguire quello in cui crede e che reputa giusto, per trasformarsi in strumento di massimizzazione del profitto per la collettivita’ degli azionisti. Nonostante il suo potenziale sia valutato anche attraverso proiezioni di sostenibilita’ a tutti i livelli, quello che piu’ conta ad oggi e’ produrre report trimestrali con numeri in crescita e vendere il proprio prodotto quanto piu’ possibile.
Basti sintonizzarsi su Bloomberg TV (Street Smart) o CNBC, in cui dominano stime e proiezioni destinati a un pubblico mondiale di azionisti, pronti a vendere le azioni da un momento all’altro sulla base di un numero non massimizzato. Basti pensare alle reticenze di Zuckenberg nel quotare in borsa la sua Facebook, consapevole che da allora in poi avrebbe dovuto piegarsi all’iper-commercializzazione di Facebook anche a discapito della privacy degli utenti. Per le aziende quotate non ha piu’ senso parlare di ragionevole profitto e di ragionevole soddisfazione per quello che si fa (come puo’ avvenire per le aziende proprietarie o famigliari), il focus improvvisamente diventa la massimizzazione del profitto.
Nonostante il grande merito di rendere il sistema piu’ partecipato e partecipativo, l’azionariato diffuso rischia quindi di far perdere di vista a molte aziende la qualita’ di quello che fanno, ovvero che tipo di prodotti si propongono di vendere e in che modo intendono farlo. Il nuovo motto diventa “grande e’ bello”, ignorando che etica, bellezza, umanita’ e senso della misura appartengono invece alla sfera della qualita’ e potrebbero quindi esserne sacrificate. Purtroppo la mono-cultura di molte business school non rende abbastanza consapevoli gli studenti del potenziale tradeoff tra quantita’ e qualita’, ma piuttosto rendendoli giocosi e aggressivi nel loro approccio ai numeri e alla massimizzazione.
Esiste poi a mio avviso un’altra tipologia di rischio insito nell’attuale sistema economico, che in quanto sempre piu’ globale diventa anche sempre piu’ affollato e competitivo: quello di fronteggiare la concorrenza al ribasso piuttosto che al rialzo. L’attuale iperconnettivita’ fisica e digitale ha accelerato i tempi di risposta dei mercati e poche aziende posso dormire sonni tranquilli. La tentazione in questo caso potrebbe essere quella di affrontare i nuovi concorrenti diluendo la qualita’ dei propri prodotti, “svendendoli” a pubblici piu’ ampi per tornare a imporsi a livello numerico. La maggior parte degli economisti assumono che la concorrenza sostenga la qualita’, ma questo e’ vero per quelle fasce di utenza che sanno apprezzarla e non sono disposte a farne a meno. Quanto ampie sono queste fasce? Un’azienda quotata in borsa ha l’“obbligo morale” nei confronti dei propri azionisti di giocare al ribasso piuttosto che al rialzo nei confronti della concorrenza (anche compromettendo i propri valori aziendali), se questa strategia prospetta maggiori profitti. Senza considerare che spesso si potrebbe incappare nel gioco a ribasso sull’onda emotiva di percepire il concorrente come nemico da combattere sul suo campo, senza pensare che la risposta possa essere quella della nuova differenziazione attraverso nuova qualita’ e perno sull’unicita’ dei propri valori.
Forse queste che ho descritto sono alcune delle ragioni per le quali il mondo di oggi e’ cosi’ ossessionato nella ricerca di “governance”, ovvero di nuovi meccanismi per regolamentare e rendere virtuose le dinamiche dei mercati globali. Nel frattempo, si osserva una risposta dal basso di soggetti economici che invece rifiutano a priori il modello del “big is beatiful”, puntando invece alla qualita’ come espressione etica della propria personale ricerca del bello e del giusto. Creando a misura d’uomo, rimettendo emozioni e fiducia nella persona al centro dell’equazione produttiva e commerciale, facendo del rispetto un valore a tutti i livelli. Se la qualità può essere fine a sè stessa, la quantità lo è solo nella sua giusta misura.