L’impetuosa ascesa dell’iper-consumismo
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La maggior parte di tutto questo, 10 anni fa, non esisteva. Nel 2013, sembra di vivere sotto bombardamento: vendi, vendi, vendi, compra, compra, compra. L’esercito e’ quello della grande distribuzione globale, il suo braccio armato il marketing aggressivo, pervasivo e multi-mediale, la sua strategia il basso prezzo e i grandi volumi, la sua tattica il copia-incolla di quello che e’ stato inventato una volta sola in casa madre, la sua location prediletta quella degli svincoli autostradali e di ovunque si possa arrivare in macchina (piu’ grande possibile, idealmente un SUV).
Con poco rispetto per sensibilita’ culturali, psicologiche e di privacy. Con poche mezze misure e censure morali, all’americana. Riempiendo di mutande e di glutei i cartelloni delle nostre citta’. Mantenendo nomi e slogan in inglese. Aggredendo i segmenti piu’ vulnerabili di consumatori, in primis le donne, attraverso messaggi espliciti e subliminali. Inducendo nuovi sensi di inadeguatezza e ansie da prestazione. Sdoganando il sabato, la domenica e la notte al lavoro e al consumo. Facendoci desiderare quello di cui non abbiamo bisogno e complicandoci la vita senza reale necessita’. Avanzando richieste sul nostro tempo libero e sulle nostre vite sociali e famigliari, ma piuttosto pilotandoci dal computer all’auto al negozio. Elevando l’immagine, l’apparenza, il materialismo e l’edonismo a valori assoluti. Educandoci a un approccio superficiale, distanziandoci da riflessione e cultura. Riempiendoci di cose che non utilizzeremo mai. Indirizzando la nostra vita verso il produci e consuma. Volevamo l’America? Ebbene, l’America e’ arrivata, svelando molti risvolti a noi sconosciuti.
Se costa cosi’ poco, perche’ non comprarlo? Se ce l’hanno loro, perche’ non dovremmo averlo anche noi? Il marketing aggressivo e pervasivo crea buone condizioni per shopping compulsivo, approccio reattivo, emulazione passiva, diminuzione della capacita’ di riconoscere le priorita’. E per i piu’ razionali, l’acquisto di oggetti puo’ comportare un considerevole investimento emotivo: c’e’ la fase della ricerca dell’oggetto desiderato, quella della comparazione dell’offerta, poi la decisione dell’acquisto, poi l’aspettativa di usare l’oggetto, poi la necessita’ di dedicare tempo e spazi per usarlo, poi possibili rimorsi per non usarlo abbastanza o non avere colto l’offerta migliore…
E poi, tutti questi oggetti che possediamo, potrebbero incrementare la distanza tra noi e gli altri, frapporci tra noi e loro. Potrebbero contribuire a creare uno schermo attraverso cui copriamo tutte le nostre presunte vulnerabilita’. Gli oggetti solo nostri, non condivisi, ci potrebbero rendere piu’ soli con loro, ostacolando la vicinanza e la comprensione profonda degli altri, che e’ quello di cui invece abbiamo realmente bisogno.
E’ interessante notare come la stessa globalizzazione iper-liberista che negli ultimi anni ha spianato la strada alla grandissima distribuzione e all’iper-consumismo, lo abbia anche fatto alle serie televisive e produzioni cinematografiche americane, che fanno leva su istinti primordiali riconoscibili e “apprezzabili” da tutti i pubblici mondiali. Basti fare zapping tra i canali 110 e 120 della Sky TV del magnate-paparazzo Robert Murdoch: sesso, soldi, violenza, invidia, successo e cinismo verso i vecchi valori. Basti sintonizzarsi su MTV, pericolosa agenzia di socializzazione per gli adolescenti, che ormai propone prevalentemente intrattenimento a base di sesso, edonismo e materialismo. Sembra che i produttori di videoclip non sappiano piu’ cosa inventarsi, in una rincorsa mono-direzionale e senza censura ad andare oltre.
Forse il vero deficit che si sta creando nelle nostre societa’ avanzate e’ un deficit di amore. Di valorizzazione delle persone per quello che sono, non per quello che hanno. Un deficit di serenita’, prima ancora che di felicita’. Di rispetto profondo per gli altri e per la vita.
Non e’ facile uscire dall’impasse, perche’ si tratta di un sistema economico globale che in quanto tale si auto-sostiene e auto-alimenta. Basta che un solo operatore sul mercato faccia un passo in piu’, e sono costretti tutti a fare lo stesso. Se a qualcuno balena la sensazione che si stia esagerando o che tutto questo abbia qualcosa di poco etico, meglio che cambi idea velocemente se vuole restare sul mercato di massa globale. Altrimenti si trovi un mercato di nicchia o vada a vendere i proprio prodotti di alto profilo ai nuovi ricchi del mondo, come stanno imparando fare i mobilifici italiani scalzati da Ikea e Mondo Convenienza.
Le multinazionali globali sono i nuovi imperatori del nostro tempo, ma l’antidoto e’ nelle mani di noi consumatori: cambiare canale, deviare il corso dell’automobile dal centro commerciale al parco pubblico, rimuovere la sottoscrizione alle newsletter. Non si tratta di demonizzarle o colpevolizzarle, ma di prendere quello che di buono hanno da offrire nella giusta misura, ribilanciando la nostra attenzione e il nostro tempo verso altri universi di riferimento. Rimettendoci al servizio degli altri, per esempio attraverso l’impegno sociale e il volontariato, piuttosto che solo di noi stessi. Riappropriandoci della consapevolezza che solo l’educazione e la cultura possono restituirci il dominio del progresso e farcene apprezzare pienamente la meraviglia.
(su temi correlati si legga anche “Mondo Monopolio” e “Capitale globale contro esigenze locali“)
p.s., precauzioni per l’uso: in questo articolo prevale la componente emotiva su quella scientifica.
Il rischio, di cui sono consapevole, e’ quello di generalizzare a senso unico la realta’, tralasciando gli aspetti positivi pur portati dai fenomeni descritti. Mi e’ venuto cosi’, ma non l’ho voluto modificare per conservare l’urgenza dell’emotivita’…