Cambiamenti climatici: scienza contro media?
“Cool it! Un documentario dell’autore dell’Ambientalista Scettico”. Il poster appeso alla parete richiama la mia attenzione: a suo tempo, le dichiarazioni di Bjorn Lomborg sul fallimento del summit di Copenhagen mi avevano sopreso per il piglio pragmatico e contro-corrente…Sono in aereo, di ritorno in Italia da Washington, e noto che la persona seduta davanti a me sta leggendo “The skeptical environmentalist”. Lo chiedo a prestito per dedicarci la traversata nord-oceanica.
Pubblicato nell’ormai lontano 2000, si tratta di un’analisi trasversale delle piu’ pressanti questioni globali legate all’ambiente (acqua, energia, inquinamento, sovrappopolamento, biodiversita’), viste attraverso gli occhi del professore di statistica. Prima di ogni teoria, interpretazione o reazione emotiva, precedenza ai numeri che descrivono il fenomeno; prima di ogni conclusione sull’andamento attuale delle cose, il confronto con i dati del passato.
Ne emerge un report volutamente ottimista e confortante sullo stato del mondo: secondo Lomborg, i problemi attuali vengono gonfiati a dismisura dai media e da quegli istituti di ricerca i cui finanziamenti sono proporzionali alla gravita’ percepita dei problemi stessi. Al contrario, i dati scientifici piu’ omnicomprensivi ci ricordano da un lato che le risorse limitate del mondo – si pensi per esempio a foreste e acqua dolce – rimangono in misura complessiva enormemente abbondanti (anche se molto piu’ scarse in quelle aree in cui si e’ deciso di espandere gli insediamenti umani). Dall’altro che il trend storico di fenomeni quali l’inquinamento atmosferico urbano e’ positivo, in quanto rispetto a un tempo e’ diminuita la concentrazione e cambiata la tipologia di sostanze inquinanti negli scarichi industriali e delle automobili (anche se sono aumentate il numero di citta’ inquinate).
Tornato in Italia scopro che “L’ambientalista scettico” e’ fuori produzione. E’ invece disponibile l’ultimo libro di Lomborg, uscito nel 2008 e intitolato “Stiamo freschi: perche’ non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale”. Lo compro con un po’ di sospetto: gia’ il titolo sembra promuovere una precisa lettura dei fatti, piuttosto che limitarsi a presentarli in maniera neutra e obiettiva. Pubblicato un anno primo del summit sul clima di Copenhagen, potrebbe cavalcare le aspettative delle lobby industriali interessate a far naufragare le negoziazioni climatiche in corso. La lettura in qualche modo conferma le mie remore: questa volta Lomborg si concentra nel sostenere una tesi – quella dell’inadeguatezza del protocollo di Kyoto a fronte di alternative piu’ efficaci – facendo ricorso a proiezioni statistiche sul futuro a mio avviso tanto problematiche quanto quelle che Lomborg contesta.
Nonostante questo, il professore danese e’ illuminante nel mettere in evidenza come le tragedie causate dai cambiamenti climatici diventino sempre piu’ gravi per il fatto che l’uomo abbia costruito in prossimita’ di zone costiere e a rischio, piuttosto che da un incremento tout court dell’intensita’ dei fenomeni. Di conseguenza, argomenta Lomborg, sara’ agendo a questo livello che otterremo i risultati migliori, piuttosto che attraverso misure troppo ambiziose di riduzione delle emissioni votate al fallimento nei negoziati internazionali.
Per quanto necessitino di una revisione approfondita delle fonti citate, gli scritti di Lomborg mi danno l’occasione di riflettere sul grande dibattito in corso sui cambiamenti climatici, esacerbato dalle immagini di devastazione che ci vengono proposte sempre piu’ frequentemente da sempre piu’ regioni del mondo. Inclusa la nostra, si pensi all’alluvione del Veneto del Novembre scorso. Una descrizione del fenomeno obiettiva e contestualizzata nella storia diventa sempre piu’ difficile, cosi’ come la quantificazione del peso relativo delle differenti ragioni. La scena mediatica e’ dominata da allarmisti, apocalittici, scettici, negazionisti, falsificatori di dati, ambientalisti radicali e da molte altre figure che contribuiscono a creare interesse e sensazionalismo intorno al tema.
Anche Lomborg e’ uno di questi, anche se si avvale di un importante punto di ancoraggio per le proprie argomentazioni: la realta’ dei fatti cosi’ come misurata scientificamente, e contestualizzata nell’evoluzione storica. Il suo sguardo del mondo e’ statistico e quantitativo, vale a dire comprensivo del 100% dei fenomeni, e in cui l’attenzione non e’ cannibalizzata da quell’1% o 10% che presenta i risultati piu’ sorprendenti. Colleghi, non dimenticatevi del restante 90% prima di affermare di conoscere lo stato e i destini del mondo. Non dimenticatevi di quelle cose che nel tempo sono andate migliorando, prima di concludere che il mondo va a rotoli.
Certo, la sua visione “macro” rimane in un certo senso teorica: assegnando lo stesso valore a un albero tagliato in Canada e uno in centro a Manhattan (entrambi generano 1 dato nel database globale), trascura il fatto che la qualita’ della perdita puo’ avere un impatto completamente diverso nei “micro”-ecosistemi dei due luoghi. Credo che si tratti della stessa tipologia di discrepanza che divide macro e micro-economisti: coloro che promuovono teorie e politiche macro potrebbero non rendersi conto di come esse trovino differente attuazione e portata nei differenti micro-contesti.
Lomborg punta chiaramente il dito contro i media e con i personaggi alla Al Gore: cavalcando le paure del pubblico per vendere di piu’, danno voce esclusivamente a interpretazioni scientifiche sensazionalistiche e unidirezionali. Si servono della scienza per aumentare la propria presa sul pubblico, spianando la strada verso la radicalizzazione e la polarizzazione del dibattito. In ultima istanza, Lomborg argomenta, questo tipo di informazione puo’ condurre non solo allo scontro sociale, ma anche a politiche e a decisioni sub-ottimali, prese sull’onda di un’eccessiva emotivita’.
Cosi’ per il riscaldamento globale, come per tutti i temi caldi dell’agenda politica globale.
Ancora una volta mi viene da pensare a quanto piu’ potere abbiano i media rispetto a quello che siamo portati a riconoscere loro (si confronti: https://www.filippodalfiore.com/2009/11/). Allo stesso tempo mi dico che sensazionalismo e “political incorrectness” hanno una loro ragion d’essere: non solo forniscono alle persone delle cause in cui credere, ma riescono ad assumere quella presa emotiva e di denuncia a monito di azioni negative in futuro. In altre parole, se non esistessero gli Al Gore e gli apocalittici del clima, probabilmente continueremmo imperterriti sulla strada perniciosa di inquinamento e distruzione delle risorse naturali del mondo.
Il ruolo dei media di “ingigantimento” dei problemi sembra quindi utile e importante. Quello che a mio avviso e’ negativo e’ che lo si persegua attraverso una piu’ o meno volontaria strumentalizzazione della verita’ o facendo leva sulle paure del pubblico.
Mi rendo conto che la conoscenza scientifica sia fondamentalmente noiosa, in quanto chiamata a mettere in luce tutti gli aspetti della verita’, anche quelli piu’ ordinari e meno sensazionali. C’e’ forse da augurarsi, pero’, che nel futuro i media possano acquisire una dimensione piu’ scientifica ed educativa, mettendo a punto nuove modalita’ comunicative. La sfida sara’ quella di rendere emotivamente coinvolgente un’informazione meno eclatante, ma anche piu’ facilmente condivisibile e quasi sempre piu’ rassicurante.