Idee radicali per problemi radicali?
Stamattina alla CNN mi e’ sorpreso ascoltare questo intervento di Obama: “Senatori, non abbiamo bisogno di un decreto di 4 miliardi di dollari per salvare gli equilibri politici, ma piuttosto per creare 4 milioni di posti di lavoro”.
Ha molto senso, ho pensato, la gente prima di tutto.
Ma perche’ pensare che il sistema economico cosi’ com’e’ possa generare posti di lavoro solo perche’ puo’ contare sui soldi che gli presta il governo? Se la pentola ha delle falle, l’acqua che tu ci butti da sopra, la dovrebbe perdere da sotto, come un colabrodo.
In linea generale, se le quotazioni di banche e industrie automobilistiche sono in calo, calera’ progressivamente anche il valore dei soldi che vengono loro prestati, a maggior ragione se sottoforma di azioni. Inoltre, se un’azienda si riduce a elemosinare i soldi al governo, significa che deve essere veramente in crisi, e quindi tutti si affrettano a venderne le azioni, accentuandone la caduta.
Sembra la stessa storia di Alitalia, ma su scala globale?
Certo, un prestito puo’ avere mille vincoli e, nel caso delle banche, potrebbe proprio essere finalizzato a liquidare i “toxic assets” responsabili della crisi, possibilmente ristabilendo la fiducia degli investitori. Forse…
In ogni caso, l’ “understatement” o verita’ ovvia di cui pochi parlano l’ha forse detta il premier messicano Calderon lo scorso 4 febbraio a Davos: “I soldi prestati alle aziende in crisi, il governo
li dovra’ pure generare in qualche modo”. In altre parole, per quanto ne capisca io:
· o contrae debito, con il mercato (emettendo titoli di stato) o con la Banca Centrale (che puo’ stampare moneta), ma l’ipotesi del debito di questi tempi sembra sempre piu’ problematica, almeno che non si sottovaluti il rischio di bancarotta;
· o – guarda caso – aumenta le tasse e riduce le spese, oltretutto su una base imponibile minore perche’ il PIL si e’ contratto;
· o (piu’ realisticamente) un mix delle due precedenti.
Il rischio potrebbe quindi essere che Obama, e chi per lui in altri paesi, abbia si’ progetti ambiziosi ma non abbia i soldi per realizzarli. Perche’ se ne e’ giocati troppi a salvare aziende in crisi, pensando di dirimere il male non trattandone le cause ma somministrando ancora piu’ medicinali.
Mi viene da dire: se l’obiettivo ultimo e’ creare posti di lavoro per chi e’ rimasto a casa, perche’ non e’ lo stato a farsi carico di assumere? Perche’ invece che mettere i soldi in aziende in cui non si sa che fine faranno, non paga lui direttamente li stipendi a chi ne ha bisogno?
Pensando alle nuove forme avanzate di partenariato pubblico-privato, potrebbe non essere cosi’ difficile trovare qualcosa di sensato e sostenibile da far fare ai nuovi impiegati dello stato. O in alternativa si potrebbe finanziare il terzo settore, del no-profit e del sociale.
Perlomeno fino a quando non si saranno riscritte le regole del gioco del capitalismo globale e tornera’ la fiducia…
Mi viene in mente un messaggio di un ascoltatore del programma di Quest sulla CNN:
“La versione estrema del socialismo e’ fallita nel 1989. Il capitalismo estremo nel 2008. Ora prepariamoci a un “socialismo capitalista” o un “capitalismo socialista””. Solleverei solo un’obiezione: visto l’attuale comportamento di aziende e governi, il capitalismo estremo non e’ ancora fallito. E allora che la crisi continui piu’ velocemente possibile, cosi’ che quando toccheremo il fondo sara’ forse la volta buona che cominceremo a risalire.
In una vignetta dello scorso 5 febbraio l’Economist ironizza “la rincorsa avida a fare i soldi e’ stato un fattore determinante la crisi economica, e ora il piano del congresso spera di cambiare le cose mettendo in palio ancora piu’ soldi…”