Filippo Dal Fiore

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Soli verso il futuro

January 16, 2015 No Comments»
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Rientro in ufficio dalle vacanze natalizie.
E’ un momento speciale quello del Natale, un’occasione per rincontrare tanti amici in città, per trascorrere serate e intere giornate in compagnia delle persone che mi stanno piu’ a cuore. Ed eccomi qui invece, da solo, nel mio ufficio, io e il mio computer, io e i miei libri, con un senso di vuoto che appare ora evidente. Piano piano mi riabituo alla routine quotidiana, rendendomi conto di come molti di noi, riuniti nei giorni di festa con la calma di condividere quello che siamo con gli altri, torniamo a richiuderci nei nostri mondi fatti anche di molta fretta e solitudine. Soli in auto, soli davanti al computer, soli al cellulare, a volte soli con i nostri pensieri anche quando circondati da altre persone.

Molti figure di riferimento in ambito spirituale hanno pochi dubbi nell’individuare nella solitudine una delle sfide più grandi delle società moderne. Madre Teresa vedeva la solitudine all’origine dei mali osservati negli Stati Uniti; il maestro buddista Thich Nhat Hanh riflette sui motivi per cui non basti parlarsi per sentirsi compresi, ne’ stare in compagnia di altri per non sentirsi soli; Papa Francesco parla di superficialità e di periferie esistenziali. Molta attività su Facebook e sui social network è forse essa stessa un tentativo di colmare una latente solitudine.

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Tra profitto e sostenibilitĂ 

October 24, 2014 No Comments»
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Si fa sempre più interessante il mio lavoro di preparazione del corso di “sostenibilità” per l’Università di Bologna. Grazie all’esperienza in Great Place To Work, il mio sguardo sul mondo delle aziende è sempre più quello di un insider: le realtà molto virtuose con cui vengo in contatto mi fanno capire come un’impresa possa adottare un comportamento sostenibile e rispettoso verso i collaboratori, l’ambiente, la società, e in generale tutti gli attori con cui essa interagisce.

Nonostante tutto, sembra che l’economia di oggi viva di una contraddizione fondamentale: da una parte la collettività richiede alle aziende maggiore responsabilità, dall’altra gli investitori e gli azionisti richiedono loro sempre maggiori profitti, costi quel che costi. Sempre di più sembrano esistere due aziende parallele che poco hanno a che vedere l’una con l’altra: quella operativa, che si costruisce giornalmente dentro fabbriche e uffici, e quella “finanziaria”, immaginata a tavolino nelle boardroom e dalla comunità degli investitori.

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La mia casa, l’azienda

October 10, 2014 No Comments»
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In questo periodo dedico la maggior parte del mio tempo lavorativo alla mia azienda. Le mansioni sono perlopiù operative, anziché concettuali. Entro in contatto con altre aziende, incontro le loro persone, porto a termine analisi in modo semi-standardizzato, approfondisco dettagli tecnici, conduco incontri in cui discuto di problematiche e azioni pratiche da implementare. Nel mio piccolo, sento di fare la differenza per qualcuno e per qualcosa, e mi sento radicato in un realismo e una concretezza raramente sperimentati da ricercatore. Per molti di noi che fanno scienza o lavorano per lo più con i concetti e le idee, tutto è più fluido, raramente si ha la sensazione di dominare il soggetto di studio, e con la “testa tra le nuvole” è forse inevitabile costruirsi una visione idealizzata del mondo, nel bene e nel male.

Non è facile confrontarsi con la pratica, dopo essere cresciuti professionalmente dentro il mondo della teoria. Forse la reazione iniziale è quella di sentirsi screditato e svilito di fronte alla richiesta di portare a termini mansioni pratiche tale e quale tutti gli altri. L’intellettuale ha costruito la propria identità e il proprio narcisismo intorno a intelligenza e alto profilo morale, e ha spesso a cuore la propria carriera accademica anche e soprattutto per un bisogno di prestigio e di riconoscimento sociale. Eppure, la mia esperienza mi ha insegnato che confrontarsi con la pratica equivale sì a sporcarsi le mani, ma anche a mettere i piedi per terra, guadagnando quiete e imparando a portare più rispetto per il nostro mondo sociale ed economico, che nonostante tutto è frutto di un miracolo di micro-collaborazione e di micro-servizio tra persone. Un miracolo che si ripete ogni giorno, e che è molto più complicato e sfaccettato di quello che l’intellettuale potrebbe essere portato a pensare.

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Gli altri che noi siamo

August 17, 2014 No Comments»
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Pensa che bello sarebbe il mondo se non lo giudicassimo. Se ci limitassimo ad osservarlo, trattenendo le considerazioni piĂą dure verso gli altri, verso noi stessi e verso le situazioni che ci si propongono. Se ci focalizzassimo di piĂą quello che va per il verso giusto, piuttosto che diventare prigionieri di quello che manca e che non ci piace.

Questi pensieri prendono ispirazione dalle mie recenti esperienze di volontariato, attraverso cui assisto in prima persona alcuni senzatetto e anziani soli della mia cittĂ .
Nel momento in cui mi aggrego al gruppo di volontari in un impegno così umile, viene meno qualsiasi bisogno di dimostrare il mio valore o fare bella figura. Non mi sento giudicato, e senza l’interferenza di timori mi resta solo la voglia di scherzare e di darmi da fare.

Penso poi alla mia avventura professionale in Great Place to Work, e alla nostra indagine internazionale da cui emerge che uno dei fattori maggiormente correlati al benessere sul lavoro sia “la possibilità di essere sé stessi”, ovvero non sentirsi costantemente giudicati. Penso infine a una certa sensazione liberatoria provata durante il recente trasloco familiare da un condominio molto attento a mantenersi “signorile”, a un altro che qualcuno potrebbe considerare più “popolare” ma i cui residenti non devono dimostrare niente a nessuno.

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I luoghi che noi siamo

July 29, 2014 No Comments»
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Mi lascio alle spalle la Basilica del Monte e sfreccio tra i frutteti verso il casello di Cesena. Suona il telepass e entro in A14 direzione Bologna. Sfilano alla mia sinistra le colline della Romagna, e la vista di Bertinoro mi riempie di affetto per la terra dove sono nato e dove si sono sedimentati i ricordi piĂą belli della mia infanzia. Sono sceso a riaccompagnare a casa la nonna Maria, di anni novantatre: da qualche mese ormai non faceva che parlare del matrimonio di mio fratello Tommaso, che non voleva perdersi nonostante il laborioso trasferimento necessario sui Colli Euganei.

Eccomi ora a Bologna, imbocco l’A13 che punta dritta verso nord, verso Padova e il Veneto. Sono ancora pieno della gioia e delle emozioni della giornata di ieri: era come se tutta la nostra famiglia si sposasse con Tommaso, uno di quei momenti in cui si celebrava la nostra identità, l’essere per l’appunto identici e un tutt’uno l’uno con l’altro nonostante le diverse storie personali. Le nostre persone e i nostri luoghi, i nostri luoghi e le nostre persone. Queste sono le radici che ci legano al mondo, e forse nulla come queste radici può riempire la nostra vita nel profondo, in un rapporto d’amore foriero di soddisfazioni, ma anche di sofferenze e di tribolazioni.

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