Filippo Dal Fiore

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La rivoluzione della sostenibilitĂ  (4): competizione contro collaborazione

October 18, 2016 No Comments»
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Ripenso a un recente convegno sul presente e il futuro delle aziende e dell’economia.
In quel contesto ho affermato che un sistema competitivo in cui la vittoria dell’uno corrisponde alla sconfitta dell’altro (win-lose) è innaturale. In natura, infatti, ogni elemento riconosce la sua interdipendenza con gli altri, ed esprimendo sé stesso contribuisce al sussistere degli altri (win-win). A differenza delle aziende sui mercati le cellule del corpo non puntano alla mutua sopraffazione, ma insieme lavorano per il benessere del corpo nella sua complessità.

Come potevo immaginare, una tale osservazione ha suscitato reazioni ben distinte.
Da una parte approvazione da parte dei sostenitori delle emergenti forme di economia “collaborativa”, a partire dalla sharing economy in cui le persone mettono a disposizione degli altri, a pagamento, alcuni possedimenti sotto-utilizzati quali automobili, abitazioni o competenze. Dall’altra resistenza da parte di coloro per cui la competizione è soprattutto un valore, in quanto meccanismo “darwiniano” che ci aiuta ad evolvere attraverso il confronto/scontro con gli altri.

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La rivoluzione della sostenibilitĂ  (3): domanda, offerta ed eccesso di capacitĂ  produttiva

July 25, 2016 No Comments»
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Continuando a ragionare di sostenibilità, mi imbatto in una riflessione sull’equilibrio tra domanda e offerta. Si tratta dell’assunto cardine delle economie di mercato, secondo il quale a fronte di una determinata domanda (=richiesta) di beni e servizi si svilupperà la relativa offerta (=fornitura), e viceversa la disponibilità di beni e servizi genererà la loro richiesta. I sostenitori dell’auto-efficienza dei mercati sostengono che affinchè questo possa pienamente avvenire, gli attori operanti nei mercati dovranno poter operare nella più piena libertà, ovvero quanto più immuni da interferenze esterne. In primis: pianificazioni, regolamentazioni e tassazioni imposte da stati nazionali o altre unità governative.

Il mondo che abbiamo sotto gli occhi oggi ci restituisce il portato pratico di tale assunto teorico: i mercati sono sì cresciuti, ma di maniera tumorale, in una rincorsa “cieca” tra domanda e offerta, senza consapevolezza delle tante altre direzioni di sviluppo potenziali
e piĂą necessarie alla societĂ . Lasciate libere di fare quello che giĂ  sanno fare meglio, le aziende continuano ovviamente a farlo, a promuoverlo, a innovarlo, a imporlo ai propri clienti e consumatori.

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La rivoluzione della sostenibilitĂ  (2): sul liberismo

July 12, 2016 No Comments»
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Riprendo l’argomento sostenibilità con una riflessione sul liberismo, filosofia che ha lasciato carta bianca all’iniziativa privata a discapito di qualsiasi regolamentazione pubblica. Sedotti dal potere magico dei mercati di crescere e auto-alimentarsi, i liberisti arrivano ad affermare che l’iniziativa individuale non regolamentata si auto-corregge (grazie della “mano invisibile” dei mercati) generando un sistema massimamente efficiente. La voce della collettività, espressa attraverso la politica e le leggi, va contenuta al massimo, così da non interferire nel funzionamento dei mercati. E’ quindi in ultima istanza necessario ridurre la politica a beneficio dell’economia, o declinarla a servizio dell’economia.

La realtĂ  ha purtroppo smentito le metafore e le pie illusioni (wishful thinking). Il mondo non è ancora pronto al liberismo, per quanto gli esseri umani possano giustamente avere a cuore istanze e sentimenti di libertĂ . Il lasciare piena libertĂ  di azione alle aziende fa sì che queste abusino degli interessi degli altri a proprio favore. Sotto le pressioni e le distrazioni di un regime competitivo – ovvero, in qualche modo, di guerra – gran parte delle aziende dimostra di non essere in grado di prendere in adeguata considerazione la volontĂ  di tutti coloro che sono direttamente o indirettamente impattati dalle proprie scelte. L’assenza o lo smantellamento delle normative (deregulation) rende il campo di battaglia ancora piĂą selvaggio, esacerbando comportamenti dannosi verso l’interesse di altri privati considerati concorrenti, così come verso il piĂą ampio di interesse della collettivitĂ .

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La rivoluzione della sostenibilitĂ  (1): sostenibilitĂ , ma quale?

July 11, 2016 No Comments»
Foglia-dettaglio

Sono passati quasi tre anni da quando mi fu proposto di prendermi carico di un corso universitario sul tema della sostenibilità aziendale. Al tempo di certo non potevo considerarmi un esperto di sostenibilità, ma il prof Simone Ferriani dell’Università di Bologna aveva intuito che il tema era di fatto già nelle mie corde, anche considerato il mio esplicito interesse per tutto ciò che potesse contribuire a recuperare la dimensione etica nell’agire economico. Certo, sostenibilità, ma sostenibilità che cosa? Per due anni avrei dovuto vedermela con un concetto che voleva dire tutto e niente, tanto abusato da essere reso inutile.

Senza saperlo, avrei potuto contare sull’accumularsi della mia esperienza professionale
in Great Place To Work, la società di consulenza che dal 2013 mi offre la possibilità di operare da protagonista nel mondo della responsabilità sociale d’impresa. Entrando nei meccanismi del “pensiero” aziendale, quell’esperienza mi avrebbe aiutato a costruire un corso più realistico, ovvero a concentrarmi su quei contenuti che sono effettivamente in grado di fare la differenza quanto alla sostenibilità d’impresa. Riprendo in mano le cartelle di archiviazione file, rendendomi presto conto presto di quanto le mie ricerche tematiche siano cambiate con il passare del tempo, a partire dalla terminologia utilizzata.

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I rischi della mono-disciplinarietĂ 

March 7, 2016 No Comments»
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La multidisciplinarietà è sempre stata il mio pallino. Nei lunghi anni della mia formazione scientifica, mai riuscivo ad accontentarmi degli strumenti che mi offriva ciascuna specifica disciplina sociale con cui venivo in contatto. Percepivo che la mentalità che si acquisiva dentro i dipartimenti universitari in qualche modo non mi apriva a capire il mondo nella sua complessità (e, al contempo, semplicità), ma piuttosto confinava il mio pensiero dentro binari che promettevano sì di produrre degli output conoscitivi controllabili e attuabili, ma anche molto ristretti nella loro valenza epistemologica ed etica. I filosofi parlano di “riduzionismo”, gli psicologici di “visione a tunnel”: invece che mantenere gli occhi ben aperti verso l’arcobaleno del mondo, ci conformiamo a credere che il mondo sia solo di un colore. Invece che intraprendere l’esplorazione del mare, preferiamo continuare ad affinare le tecniche natatorie in piscina, finendo per scambiare l’una per l’altro.

Se fosse per me, della scienza manterrei il metodo empirico (ce n’è grande bisogno!), ma mi emanciperei dalle discipline. In fin dei conti, le discipline erigono dei confini che semplicemente non esistono nel mondo reale, sono confini artificiali, inventati, di comodo, al pari dei confini politici tra i paesi del mondo. Lo dice pure la parola: le discipline servono per “disciplinare” il mondo, ovvero per dare al mondo un ordine a partire da alcune assunzioni di partenza, non per capirlo.

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