Sulla casa comune e sul perdono
Arriva il momento della riunione annuale di condominio. All’ordine del giorno ci sono argomenti piuttosto importanti, in primo luogo l’opportunità di ristrutturare ed efficientare la nostra palazzina dal punto di vista dei consumi energetici. Sono quasi nove anni che partecipo attivamente a questo tipo di assemblee, notando che il più delle volte si respira un’aria tesa ed affaticata.
Fin da subito ho avuto la sensazione che l’interazione in gioco in questo tipo di contesto potesse rappresentare in micro-scala l’interazione che caratterizza tutti gli ambiti politici, in cui ci si riunisce per prendere delle decisioni sulla gestione dei beni comuni (“la cosa pubblica”). Se si è direttamente coinvolti nel manutenere e beneficiare di tali beni, la posta in gioco percepita è tanto alta quanto alto è l’investimento emotivo dei singoli.
Il nostro condominio include solo nove unità abitative. Tra di noi ci conosciamo bene e io stesso negli anni ho cercato di promuovere differenti occasioni di interazione; un’altra famiglia si è fatta invece paladina del miglioramento apportabile all’edificio e alle sue ampie aree scoperte.
Complice l’eterogeneità delle età anagrafiche, delle visioni del mondo e della casa, e delle disponibilità economiche dei proprietari, non siamo ancora riusciti a creare quell’unità di intenti necessaria a lanciare nuove iniziative per la nostra casa comune.
Una volta di più, sto esperendo sulla mia pelle quanto difficile possa essere la convivenza. Così come dentro casa, in famiglia, anche all’interno del condominio a volte ci si pesta i piedi e si finisce per generare conflittualità intorno a piccolezze che in realtà raccontano più di noi di quanto a volte siamo disposti ad ammettere.
“Mi hai fatto un affronto, sono risentito!”.
“Ti odio, ti disprezzo, esigo perlomeno le tue scuse!”.
Raramente diamo voce al turbinio emotivo generato dalle nostre emozioni, ma prenderne consapevolezza può aiutarci a guadagnare distanza e obiettività. Pensando alle nostre riunioni di condominio, mi rendo conto di quanto gli affronti più grandi si leghino alle nostre più grandi preoccupazioni, sensibilità e identificazioni:
“Hai imposto una spesa che riduce la mia tranquillità economica”
“Hai introdotto un disturbo che danneggia la mia tranquillità quotidiana”
“Mi hai privato di un servizio o di un oggetto da cui traevo molto beneficio”
“Mi ostacoli dall’ottenimento di quello che desidero tanto”
E’ il giudicare gli altri colpevoli di una mancanza di rispetto che fa salire così tanto la nostra rabbia. D’istinto siamo portati a contrattaccare, a vendicarci, a far provare agli altri quello che loro stanno facendo provare a noi. Si tratta di una strada che non potrà restituirci la serenità perduta: dentro di noi genererà un’ulteriore invisibile ferita, fuori di noi alimenteremo ulteriore risentimento. Ci offrirà un’occasione di sfogare temporaneamente le energie disturbanti, ma se si riesce a controllarsi è sicuramente più conveniente pensare a modi più costruttivi di gestirle.
La mia esperienza di vita mi ha insegnato che occorre tanto, ma proprio tanto lavoro su sè stessi per elevare la nostra consapevolezza della situazione. Solo prendendo le distanze dalle energie che ci dominano riusciremo a vedere le cose con più obiettivamente, comprendendo più chiaramente – tra molte altre cose – in che modo le nostre stesse reazioni contribuiscano ad alimentare il problema.
Il realizzare quanto noi stessi siamo parte del problema, quanto lo sono gli altri contro cui recriminiamo, crea di certo spaesamento e delusione ma anche umiltà e spazio di manovra.
Considerato il grado di complessità raggiunto di questi tempi dalla nostra casa comune (sia essa la nostra famiglia, il nostro condominio, il nostro territorio, la nostra nazione o il nostro mondo), risulta a mio avviso più urgente che mai avviare una riflessione sulla necessità di ricercare nuove soluzioni interiori, prima ancora di sperimentare o reagire attraverso soluzioni esteriori.
Nel mio piccolo, ho sperimentato quanto efficace possa essere lo strumento della meditazione per generare spazio di riposo, obiettività e manovra intorno al tumulto dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Per quanto difficile e faticosa, la via dell’introspezione può portarci molto lontano in un percorso di crescita e scioglimento progressivo di quei nodi interiori che generano così tanta turbolenza al di fuori di noi, rendendoci al contempo più aperti, tolleranti e flessibili verso il caleidoscopio della vita.
Con il tempo ci si rende conto di quanto la strada della comprensione diventi anche foriera di compassione, perché è aumentata la nostra capacità di capire fino in fondo quanto difficile sia vivere nei panni degli altri, e in ultima istanza, di sé stessi. La compassione, a sua volta, ci porta al cospetto dello strumento ultimo e risolutivo nel nostro percorso di riappacificazione: il perdono.
La sacralità del perdono risiede nella sua potenza di cancellare il risentimento attraverso un atto, apparentemente irrazionale, di puro Amore. Perdonando riusciamo ad aprire la porta della gabbia dentro la quale abbiamo finora vissuto, uscendo finalmente dalla caverna platonica e dirigendoci verso quella luce tanto ardentemente desiderata.
Il perdono ci regala la pace, e la pace ci regala la grazia di emanciparci da quello che non vogliamo, aprendoci di conseguenza a ricevere quello che più autenticamente ci appartiene. Come il fuoco brucia ciò che ha completato il proprio compito terreno, anche il perdono fa tabula rasa e ci consente di andare oltre: liberandoci dalle emozioni e dalle situazioni a cui eravamo legati, siamo finalmente pronti a migrare verso contesti più salutari, gratificanti ed esileranti per noi stessi, per gli altri e per la nostra casa comune.
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