Capire contro Interpretare
Rifletto sul libro appena letto di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia.
Mi sorprende sempre per la sua eccezionale capacita’ di vedere le cose complicate chiaramente, nella loro semplicita’. Stiglitz sembra avere capito come funzionano le cose, piuttosto che fornire la sua lettura delle stesse. Mi interrogo sulla differenza tra il capire e l’interpretare. Mi domando perche’ cosi’ spesso siamo tutti cosi’ pronti a fornire la nostra interpretazione di un fenomeno (in un suo aspetto), ma in pochi sembriamo averlo realmente capito (nella sua “essenza”).
Per cominciare mi faccio aiutare osservando l’equivalente inglese delle due parole: capire si dice “to under-stand” (stare sotto) ed interpretare “to inter-pret” (muovere tra). Nel primo caso si individuano le cause immediatamente sottese ad un fenomeno, nel secondo se ne trasla una propria lettura verso altre persone. Confermando l’etimologia, anch’io ho l’impressione che per capire serva posizionarsi a ridosso della realta’, di maniera concreta, fattuale, empirica, piuttosto che astratta e generica.
Prendiamo un fenomeno complesso dell’economia, quello delle bolle speculative. Una chiave di lettura fondata su una specifica teoria potrebbe sostenere che le bolle speculative si originano dal prevalere dell’euforia degli investitori sull’analisi razionale della situazione. Questa interpretazione ci suggerisce un rimedio o terapia: educare gli investitori a un approccio piu’ razionale che emotivo.
Mi chiedo: come possiamo essere certi che tale ricetta porti all’abbattimento del fenomeno? Non credo possiamo esserlo, perche’ si pretenderebbe che una generica teoria che propone un generico rimedio possa funzionare sempre e al 100%. Sembra una pretesa molto ambiziosa…
Per avvicinarci alla certezza, a mio avviso, non basta proporre una chiave di lettura, ma e’ necessario capire quello che effettivamente abbiamo di fronte. Qui e adesso. Nelle sue manifestazioni concrete e osservabili, piuttosto che nella sua genericita’ e generalizzabilita’. Serve esaminare la bolla speculativa scoppiata nel 2008, negli Stati Uniti, connessa al boom edilizio, alla globalizzazione, ai mutui facili, all’avidita’ umana, al potere di assuefazione del denaro, all’avvento di nuovi strumenti finanziari come le derivate, e a chissa’ quanti altri fenomeni di con-causa che interagiscono gli uni con gli altri.
Probabilmente risiede proprio qui la difficolta’ di capire: l’essere in grado di cogliere tutte le cause di un fenomeno. L’essere nella posizione giusta per avere accesso diretto, piuttosto che filtrato, all’informazione. L’avere un bagaglio multi-disciplinare di strumenti conoscitivi per individuare il maggior numero di con-cause. L’essere aperto, fattuale e obiettivo nella ricerca della verita’, piuttosto che pregiudizialmente o emotivamente prevenuto verso certi tipi di fattori, innamorato di alcune teorie o coinvolto in qualche conflitto di interesse. L’avere buon senso, ovvero essere in grado di utilizzare nessi logici e principi guida (euristiche) piu’ semplici e condivisibili possibile, per ricomporre il puzzle delle con-cause (operazione “olistica”, di sintesi). Per Stiglitz questo buon senso equivale alla legge fondamentale dell’economia, quella di domanda-offerta. Non a caso una legge valida sempre, piuttosto che una teoria valida a certe condizioni e in diverse misure.
Quante volte avremmo bisogno di capire le cose nella loro complessita’, piuttosto che limitarci a interpretarle attraverso i limitati strumenti a nostra disposizione! Perche’ il neonato piange e l’adolescente si comporta in questo strano modo? Perche’ non trovo lavoro? Come ha fatto Berlusconi a bloccare temporaneamente il problema della spazzatura a Napoli? Perche’ la mia citta’ ha un minore tasso di scolarizzazione delle altre?
Quante volte prendiamo decisioni poco ottimali sul da farsi, credendo di avere in pugno le chiavi di un problema! Non riscontriamo i risultati sperati, creiamo ulteriori danni, inneschiamo conseguenze inattese. La maggior parte delle volte ci mancano i pezzi per capire le cose. Il solo fatto di accorgersene e di riconoscerlo e’ estremamente difficile, richiede ampia preparazione ed onesta’ intellettuale. Solo a un certo punto Socrate si accorge di non sapere. Solo in tempi recenti io stesso comincio a rendermi conto di quello che Socrate volesse dire. Cerco a fatica di emanciparmi dal richiamo del “so tutto mi”, o della spiegazione elegante da mettere in bella mostra.
La buona notizia, pero’, e’ che non mancano i rimedi. Esistono infatti degli accorgimenti attraverso cui ci possiamo garantire di capirne di piu’ delle cose del mondo. Questi quelli che mi sento di suggerire:
- osservare gli eventi da piu’ vicino possibile, nella loro manifestazione fattuale. Se un bambino piange, osservare in che situazioni lo fa, in concomitanza di quali altri fenomeni o condizioni ambientali. Allo stesso modo, assumere il punto di osservazione di chi gli eventi li vive in prima persona, parlare con loro. Chiedere al bambino perche’ ha pianto, dopo averlo aiutato a calmarsi. Chiedere direttamente ai banchieri la cronistoria del formarsi della bolla speculativa, garantendo riservatezza.
- servirsi di fonti informative il piu’ vicine possibili agli eventi, le piu’ obiettive e disinteressate possibile, stando all’erta rispetto ai filtri interpretativi, ideologici ed emotivi. La mamma che narra il pianto del bambino, il giornalista che esagera i fatti per fare notizia, l’ottimista e il pessimista che ci spiegano come funzionano le cose: l’informazione filtrata costituisce purtroppo la maggior parte dell’informazione con cui entriamo in contatto e a cui spesso preferiamo esporci.
- prendere con grano salis le teorie, ma molto seriamente le leggi che governano i fenomeni del mondo. Affermare che “Il comportamento dei banchieri e’ guidato dall’assuefazione al denaro” equivale a proporre una teoria. Dire che “Il comportamento dei banchieri e’ guidato dal principio di domanda e offerta” equivale invece ad applicare una legge imprescindibile dell’economia. Quest’ultima sara’ vera in tutti i casi e a qualunque condizione. La prima potrebbe essere vera (plausibilmente non per tutti i banchieri di questa terra!), ma rimarra’ pur sempre un pezzo di verita’ insieme a molti altri. Elevandola a verita’ ultima si fara’ poca giustizia della situazione, producendo polemiche, ferite, false credenze e disaccordo.
- preferire il ragionamento quantitativo (in tonalita’ di grigio) a quello qualitativo (in bianco e nero). Invece di pensare, poco realisticamente, che i banchieri siano assuefatti dal denaro del tutto o non lo siano per nulla, chiedersi quanto lo possano essere in una scala da 0 a 100. Invece di cercare di etichettare proprio figlio come “timido” o un “esuberante”, osservare dove si collochi sulla lunga scala dell’estroversione. Imponendo un giudizio categorico qualitativo (una cosa e’ bella o e’ brutta) su una realta’ complessa, si fara’ ancora una volta poca giustizia della situazione, producendo ferite, polemiche, false credenze e disaccordo.
- preferire gli autori universalmente riconosciuti e ampiamente condivisibili, agli autori piu’ eccentrici e assidui difensori delle proprie teorie. Per minimizzare l’errore, negli ultimi anni io preferisco leggere i premi nobel dell’economia e della letteratura. Le parole di Gandhi e di Einstein risuonano altresi’ incontestabili e senza tempo.
Credo che tutto questo possa avere ripercussioni sul modo in cui dovremmo essere educati e formati, a cominciare dalla scuola e dall’universita’. Purtroppo anche nel mondo scientifico, come in tutti gli altri, troppo spesso ci innamoriamo delle teorie: sedotti dalla loro eleganza e dal loro potere di rassicurazione (abbiamo una spiegazione!), pretendiamo che esse possano spiegare tutto, piuttosto che certi aspetti di certe cose a certe condizioni. Molte teorie finiscono per diventare realta’ artificiali a se’ stanti, parallele al mondo reale, sovra-strutture che finiscono per impedirci di vedere le cose come stanno. Invece di rimanere chiavi di lettura utili e veritiere quando contestualizzate appropriatamente, finiscono per modificare e complicare la realta’ stessa che pretendono di spiegare, facendoci prendere fischi per fiaschi.
E’ per questo motivo a mio avviso che gli accademici e gli educatori che non si confrontano in prima persona con la realta’ empirica del mondo reale, ma solo con i libri e con l’informazione di seconda mano, rischiano di assumere una visione semplicistica se non distorta della stessa. Anche se il loro compito e’ spiegare il mondo, in realta’ non sono messi nelle migliori condizioni per capirlo.
Nessuno e’ in grado di farlo, ben inteso, ma chi e’ distante dai fatti e della pratica, pur potendo avere distacco emotivo e approccio potenzialmente disinteressato, ha il grande limite dell’accesso diretto agli avvenimenti e all’esperienza. Vengono in mente gli storici, i piu’ sfortunati tra tutti gli scienziati.
In conclusione, al di la’ della sua teoricita’, mi sembra di avere toccato un argomento importante.
In fin dei conti non sono questi alcuni dei motivi per cui al mondo non ci capiamo? Ognuno di noi pretende di avere la teoria definitiva su come le cose vadano e come debbano andare. Passiamo il tempo a litigare, e a cercare di convincere gli altri che siamo noi quelli che hanno ragione. Io credo invece che tutti abbiamo un po’ di ragione, ma forse nessuno di noi e’ pienamente in grado di contestualizzare, specificare, ancorare ad esempi ed istanze di realta’ concreta quello che sta cercando di dire. Sentiamo la necessita’ di capire il mondo, ci costa invece molta fatica riconoscere che conosciamo solo il nostro angolo di mondo: quello che abbiamo esperito di persona, attraverso l’intelletto e le emozioni; quello che abbiamo letto sui nostri libri e sui nostri giornali; quello che abbiamo visto sulla nostra televisione, il nostro cinema, il nostro computer; quello che abbiamo sentito dire dalle persone con cui siamo venuti in contatto, a cominciare dai nostri genitori.
Ognuno di noi e’ il risultato di quello che ha esperito in prima persona. E’ la nostra storia conoscitiva che ci impedisce di capirci, ma forse abbiamo opinioni molto piu’ simili di quanto non riusciamo o vogliamo cogliere. Ho l’impressione che spesso la persone cerchino di “dire le stesse cose”, e quasi sempre ci troveremmo d’accordo una volta conosciuta la realta’ del punto di vista diverso. Se solo riuscissimo a riconoscere la limitatezza del nostro: specificando ed esemplificando quello che diciamo, ancorandolo alle nostre esperienze e conoscenze; chiedendo aiuto agli altri, invece di generalizzare o volere dire per forza la nostra.
Quello in cui avremo accettato la nostra ignoranza, sara’ forse il momento migliore per capire.