La meraviglia della diversità
Reduce dagli ultimi incontri di lavoro, mi trovo a riflettere su quanto l’identificarci con uno specifico ruolo e status professionale possa essere problematico nella vita.
Lo è in modo particolare in alcuni ambienti, come quello accademico che conosco bene, in cui si percepiscono forti gerarchie tra i livelli di inquadramento, e di conseguenza anche un clima competitivo per assumere quelli considerati più prestigiosi. C’è chi fa carriera e chi no. C’è chi “ce l’ha fatta” a rimanere parte di quell’ambiente, c’è chi “non ce l’ha fatta”, spesso senza riconoscere quanto diversamente valide siano le alternative.
La corsa ad assicurarsi un ruolo sociale di prestigio è nutrita dai complessi di superiorità e inferiorità ereditati dalla famiglia e della società di appartenenza. Acquisire status equivale a guadagnarsi il rispetto e la stima degli altri, vedendo soddisfatto un proprio bisogno primario di accettazione e di amore. Più in famiglia, a scuola e in società si percepisce un clima anche sottilmente giudicante per cui “ti voglio bene, se raggiungi un certo livello”, più forte sarà questa urgenza; più si respira un clima di accettazione incondizionata per cui “ti voglio bene per quello che sei”, se non “ti voglio bene perché tu sei”, più la stessa necessità sarà affievolita.